Ha raccolto tutte le sue cose dalla sede comunale di Villa Gioia, ha copiato su una chiavetta gli atti archiviati sul suo pc personale ed è già «tornato a tempo pieno» al suo posto di lavoro nell’ospedale San Salvatore de L’Aquila. Le dimissioni di Massimo Cialente sono «irrevocabili, qualunque cosa accada ormai». Neppure gli aquilani che ieri sera in piazza Castello hanno rivendicato «A testa alta» l’onorabilità del capoluogo abruzzese, lo hanno convinto a cambiare idea. Il suo ruolo lo ricopre ad interim l’assessora alla cultura Betti Leone, di Sel, nominata vice sindaca.

Colpito negli ultimi giorni anche da un grave lutto personale, ferito e amareggiato come non mai, l’ormai ex sindaco della città terremotata, che è stata in questi anni per il centrosinistra un simbolo della lotta al sistema berlusconiano, si toglie di mezzo. «Perché diventi palese che qui non c’è un sistema L’Aquila ma un sistema su L’Aquila», dice. E il dente è avvelenato anche con il suo partito e con il premier Enrico Letta che evidentemente non ha dato alcun segno di aver recepito le richieste – l’accorato appello, anzi – che venivano dal territorio. Perché «sia chiaro: io sono stato cacciato da questo governo», scandisce. E il tono non ammette repliche. «Questa vicenda sarà un danno per il Pd alle elezioni di maggio prossimo? Se succede, andate a chiedere conto a Letta. Chiedetegli come mai hanno voluto togliere di torno – non l’avevano mai fatto prima con nessuno – l’unico sindaco che non ha nemmeno un avviso di garanzia. Non ce l’ho con Enrico, è un amico. Ma se io rispondo delle vicende giudiziarie che hanno investito il mio vice, lui risponda degli atti politici del suo ministro Carlo Trigilia. Esiste o no la proprietà transitiva?».

15pol2 cialente l'aquila

 

Nella relazione al Parlamento del ministro per la Coesione territoriale, Trigilia riferisce che dal sisma del 6 aprile 2009 ad oggi sono stati stanziati 12 miliardi di euro per l’emergenza, la ricostruzione e lo sviluppo di tutto il cratere terremotato.

Sono soldi spesi per il progetto case, per i moduli abitativi provvisori, per il pagamento degli alberghi, ecc. Appalti pubblici gestiti dalla Protezione civile o dal provveditorato delle Opere pubbliche o dalla direzione regionale dei Beni ambientali e culturali. E il dato Ance ci dice che a queste opere hanno lavorato imprese di 98 province diverse, ma raramente quelle aquilane. L’inchiesta che ha investito la mia giunta non riguarda gli appalti pubblici ma le commesse private. Il sistema di broker emerso è legato al tentativo delle imprese “esterne” di accedere al più grande cantiere d’Europa. Ma i media che hanno attaccato perfino la mia famiglia e vorrebbero dipingere L’Aquila come una città di corrotti in modo che destra e sinistra si puliscano la coscienza, sanno che fin dall’inizio noi chiedevamo più regole. Della ricostruzione privata ne parlai più volte col governatore Chiodi e col commissario straordinario Fontana ma l’unico che mi diede retta fu l’allora ministro Barca che nel settembre 2012 iniziò a realizzare i decreti attuativi per la ricostruzione, senza concluderli. Ma il governo non le vuole, queste regole, perché si andrebbero a colpire i grossi interessi. Mentre ora a pagare sono i cittadini aquilani.

Ci descriva questo fenomeno dei broker aquilani. Chi sono, come nascono, a che servono?

Le imprese che da tutta Italia vogliono entrare nel mercato aquilano della ricostruzione privata hanno bisogno di agganci sul territorio. Gente che prende una percentuale sulla commessa che riesce a procurare. Ingegneri, avvocati, commercialisti e perfino qualche consigliere comunale hanno cominciato a fare il broker, ci si può guadagnare moltissimo. Il consigliere Pdl arrestato, Pierluigi Tancreti, il 17 agosto scorso si è dimesso e si è dedicato completamente a questo lavoro di broker, con la sua partita Iva. Si è parlato di tangenti, ma le mazzette non le dai a un privato per ricostruirgli casa. E con i puntellamenti, Tancreti non c’entra nulla.

Ma allora, quali regole chiedeva sulla ricostruzione privata?

Ci sono imprese con 7 milioni di fatturato che improvvisamente prendevano commesse per 200 milioni. Ovviamente non potevano rispettare i tempi di consegna perché non sono strutturate per progetti così grandi. Quando cominciammo a denunciare questa pratica, ci giunse all’orecchio che molte imprese – vengono tutte da fuori, molte del nord, specializzate nell’aggiunta di isolatori sismici – iniziavano a vendere una parte delle commesse acquisite a rami d’azienda creati ad hoc. Altre invece si dichiaravano fallite. Ma il committente non ha la possibilità, in questo caso, di interrompere il contratto, se non impegnandosi in un processo civile o in attesa dell’iter fallimentare. Molti cittadini nel frattempo hanno perso anche i benefici dell’assistenza. Io chiedevo che, in questi casi, si possa revocare il contratto senza pagare penale. E comunque di porre più regole nel mercato, senza le quali il malaffare si può sempre insinuare. Lo so, ho sbagliato: avrei dovuto darmi fuoco come Jan Palach o mettermi in sciopero della fame. Ma la macchina comunale della ricostruzione funziona talmente bene che permette di licenziare progetti per 110 milioni di euro al mese. Quando però abbiamo chiesto più soldi, visto che non ce n’erano, il ministro Trigilia ha saputo solo proporre di fermare la ricostruzione fino a marzo prossimo.

Lei ha denunciato un problema anche nella ricostruzione dei beni della curia.

In una riunione con il ministro Bray ci proposero un articolo di legge preparato dalla Presidenza del consiglio che permetteva alla curia di diventare soggetto attuatore, in modo da scegliere l’impresa autonomamente senza appalto pubblico. Io mi opposi perché volevo difendere L’Aquila agli occhi dell’Italia; ne parlai anche con l’arcivescovo Betocchi. Non l’avessi mai fatto, credo di pagare oggi anche per questo.

Se le sue dimissioni verranno ratificate entro il 31 gennaio, si andrà alle elezioni comunali insieme alla regionali e alle europee. Pensa che questa storia sarà un danno per il centrosinistra? Chi vorrebbe vedere come suo successore?

Non credo che sarà un danno, ma nel caso, quando tutto sarà chiarito, c’è qualcuno che dovrà chiedere scusa a questa città. L’altra domanda lasciamola stare: non vuole mica che bruci qualcuno?