«Impara a fidarti di chi ti ama. È la lezione più difficile che la vita t’insegna»: lo dice Aime, il nonno del protagonista del romanzo di esordio di Emanuele Altissimo, Luce rubata al giorno (Bompiani, pp. 240, euro 17). E se il genere non avesse regole così ferree, che prevedono mantelli e poteri pseudo magici, il vecchio dovrebbe entrare a pieno titolo nella categoria dei supereroi. Ciò che fa è cucinare torte, preparare le macchinette e sorbire con voluttà tazze di caffè, occupandosi in questo modo, dolce e perfetto, dei suoi due nipoti: Olmo, il narratore, e suo fratello maggiore Diego.

COME TUTTI I SUPEREROI, Aime non ha scelto di diventarlo, la vita lo ha costretto in un certo qual modo, o meglio la morte, quella dei genitori dei due ragazzi, coinvolti in un incidente stradale a cui Olmo fa riferimento già nelle prime pagine della storia. Il personaggio del nonno è capace di mantenere vivo il fuoco immane di un amore come quello genitoriale, non la normalità, che spesso viene indicata come il valore da preservare perché le cose non si rompano, ma il sentimento che ci sia qualcuno al mondo la cui vita dipende anche dal fatto che la tua sia felice, quello che gli analisti chiamano amore fusionale. Il super potere di Aime è saper «essere madre», allora, nonostante l’età e il dato non trascurabile che lui sia un uomo, e malgrado tutto. La madre manca molto a Diego, che ne indossa il profumo dopo la rasatura, e si domanda dove sia, mentre il lettore si chiede se quella perdita abbia influito sulla sua schizofrenia o se invece quello era il destino del ragazzo e tale si sarebbe realizzato anche se non fosse rimasto orfano.

IL DOLORE genera altro dolore, ma Diego dice a Olmo che: «l’amore non può essere una brutta cosa». Allora perché se ne va? Perché genera nei cuori del fratello e del nonno già convalescenti per sempre a causa dell’incidente anche la ferita della sua scomparsa? Possiamo ipotizzare che se fosse rimasto sarebbe stato peggio: la sua angoscia indomabile forse avrebbe impedito per sempre a Olmo di dormire. Quindi, omnia vincit amor? Come molti testi che vale la pena leggere anche questo pone questioni umane a cui non solo ognuno dà la sua risposta, ma a cui ciascuno di volta in volta può dare un senso diverso.
Nei brevi paragrafi relativi all’incidente del 1945 che raccontano attraverso i personaggi del pilota e di una sopravvissuta il giorno in cui un aereo per errore colpì l’Empire State Building si sente troppo il rumore dell’artifizio retorico, per puntellare la scoperta di Olmo, appassionato di modellini, che ciò che tiene salde le grandi costruzioni è la capacità di piegarsi. Però questo è un buon libro, perché è vero e dona nella lettura emozioni sincere, forti, un dono.