La fuga dalla guerra ha raggiunto proporzioni impressionanti. Più di 150mila persone hanno abbandonato l’est dell’Ucraina, dove si combatte da quando il governo centrale, a metà aprile, ha lanciato l’offensiva contro i ribelli filorussi che insorgendo in armi hanno autoproclamato la nascita delle repubblica popolari di Donetsk e Lugansk. Sono ritagliate su una parte dei territori delle omonime regioni.

Con il passare del tempo l’intensità del conflitto è andata crescendo, dilatando di conseguenza il flusso degli sfollati, tra i quali si contano sempre più minori. La gente si lascia alle spalle le proprie case, cercando scampo in altri territori dell’ex repubblica sovietica o in Russia. Nel primo caso si contano 54mila sfollati. Nel secondo, invece, la cifra raddoppia. In 110mila hanno sconfinato. Lo riferisce l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), specificando che l’esodo è andato avanti anche nei giorni in cui, sul fronte dell’est, c’è stata una tregua.

L’iniziativa è stata lanciata il 20 giugno dal presidente ucraino Petro Poroshenko. Malgrado questo ci si è continuati a sparare addosso. In ogni caso il cessate il fuoco è finito. Lunedì sera Poroshenko ha deciso di revocarlo. La guerra insomma va avanti, in attesa che Kiev e Mosca, che tratta a nome dei ribelli, negozino la pace. Non sarà facile. Al momento il tema più spigoloso è l’assetto costituzionale dell’Ucraina. Putin vuole la federalizzazione, a garanzia delle specificità dell’est. Poroshenko, secondo cui tale opzione farebbe dell’est uno stato nello stato, rilancia con una larga autonomia.

Nel frattempo il nuovo ministro della difesa ucraino, Valery Heletey, voluto da Poroshenko, ha lanciato proclami bellicosi sulla Crimea. L’Ucraina se la riprenderà, ha fatto sapere. Parole che, tuttavia, sembrano prevalentemente e retoricamente orientate al consenso. La questione della Crimea, in termini politici, sembra chiusa. Resta aperta, al contrario, quella dei profughi. Per l’Unhcr 11.500 persone hanno lasciato la regione nel corso del processo che, iniziato con un’occupazione in armi e proseguito con un referendum, ha fatto tornare la Crimea nelle braccia della Russia.

Questi profughi si sono spostati nelle aree del paese sotto il controllo di Kiev. Molti di loro sono membri della componente tatara, la terza della Crimea in ordine di peso demografico.

Dalla Crimea, comunque, non si è soltanto partiti. Nelle ultime settimane, con l’aggravarsi della guerra nell’est, migliaia di persone sono giunti nella penisola da Donetsk e Lugansk. Il numero degli arrivi avrebbe toccato quota dodicimila. Pareggiando i conti, quindi, con quello delle partenze registrate durante e subito dopo la secessione. Sotto il profilo numerico, comunque sia, gli spostamenti più imponenti – s’è detto – sono quelli verso la Russia. Almeno 110mila persone hanno varcato il confine.

Alloggiano principalmente nel versante occidentale e centrale del paese, in alberghi, edifici pubblici o tendopoli appositamente allestite. Entro la fine dell’anno, si ritiene, i profughi potrebbero salire a trecentomila. Il governo, la Croce rossa russa e altre organizzazioni stanno stanziando molte risorse: servono soldi e buona organizzazione logistica, d’altronde, se si vuole evitare che l’emergenza diventi ingestibile. Intanto, proprio sull’arrivo dei profughi ucraini in Russia, è scoppiata la polemica tra Washington e Mosca. Il dipartimento di stato, lasciando praticamente intendere che il Cremlino stia speculando sulla faccenda, ha sostenuto che il numero degli sfollati va ridimensionato, dato che c’è chi potrebbe semplicemente essere in visita presso i parenti dall’altra parte della frontiera.

Senza contare che il numero delle richieste di asilo politico, quasi diecimila, non fa il paio con quest’enorme processione di persone. Il primo ministro russo, Dmitry Medvedev, ha bollato come ciniche queste considerazioni. L’Unhcr, da parte sua, ha riferito che non è in grado di verificare con accuratezza il numero complessivo degli sfollati, specificando però che chi cerca di rimanere in Russia non lo fa necessariamente avvalendosi dello strumento dell’asilo. Si seguono anche altri percorsi legali.