Dopo tante, troppe parole e nessun fatto concreto, alla fine l’altoforno si è rotto. Proprio alla vigilia dell’ennesimo sciopero dell’intera Val di Cornia, che per drammatica ironia della sorte ha come parola d’ordine: “Piombino non deve chiudere, l’altoforno non si deve fermare”. Dal ventre delle Acciaierie le ultime notizie dicono che la prima colata di ghisa potrebbe arrivare, forse, già da domani. Certo è che all’odierna manifestazione, dove per la prima volta arriveranno insieme a Piombino i tre segretari generali dei sindacati confederali, non potranno esserci gli operai delle squadre di riparazione. Saranno al lavoro, insieme ai reparti che si occupano della salvaguardia degli impianti, e a quelli che, in virtù di un vecchio accordo sindacale preso all’epoca con i manager Lucchini, resteranno “in produzione” dentro la fabbrica agonizzante. Operai che negli ultimi anni, mentre sul destino del secondo polo siderurgico italiano si imbastiva una rappresentazione di teatro dell’assurdo, hanno finito per gestirsi praticamente da soli lo stabilimento. A mandarlo avanti, a loro rischio e pericolo.

Ad ascoltare le parole di Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti ci saranno comunque migliaia di cittadini, gli studenti e i lavoratori di molte aziende del comprensorio. Anche la politica, al gran completo. A partire dal presidente toscano Enrico Rossi insieme al suo assessore alle attività produttive Gianfranco Simoncini, ed a seguire sindaci, assessori, consiglieri regionali provinciali e comunali della Val di Cornia, parlamentari e dirigenti di tutti i partiti. Anche se soltanto la Rifondazione comunista piombinese, che della ex Lucchini conosce vita, morte e miracoli, segnalerà con lo striscione “Unica soluzione, nazionalizzazione” l’uscita di emergenza per evitare la morte delle Acciaierie.

Di un intervento diretto dello Stato, che pure controlla lo stabilimento con il commissario straordinario Piero Nardi, in questi mesi non si è mai parlato. Anzi il piano del commissario Nardi resta quello di fermare definitivamente l’altoforno il 20 novembre prossimo, e costruire al suo posto nei prossimi mesi un piccolo forno elettrico. Da accompagnare, in tempi ben più lunghi e ancora senza certezze, da un impianto sperimentale Corex di ultima generazione. Nell’immediato, questo progetto comporterebbe l’automatico sacrificio di almeno la metà dei 3mila attuali addetti della ex Lucchini. Senza considerare l’indotto, e gli effetti collaterali sulle altre due aziende siderurgiche piombinesi, la Magona Arcelor e la Dalmine Tenaris.

L’opposizione operaia, accompagnata negli ultimi mesi anche da sindacati che in passato erano stati fin troppo silenziosi, ha portato a quella vertenza generalizzata – “Piombino non deve chiudere” – che oggi conduce all’ennesimo sciopero. Con la richiesta di avviare i lavori di un forno elettrico e di un impianto Corex, lasciando però in funzione l’altoforno almeno fino al 2015.

Anche ieri, durante l’ennesima riunione al Mise, non si è però andati oltre una formula di rito: “A fronte della richiesta delle istituzioni locali di garantire il massimo utilizzo temporale dell’altoforno, il Ministero dello Sviluppo economico verificherà con il Commissario le concrete possibilità”. Ma una puntuale ricerca della scuola superiore Sant’Anna di Pisa segnala che la ex Lucchini riversa ogni mese in Val di Cornia, solo di stipendi, tre milioni e mezzo di euro. Una risorsa di cui il comprensorio non può fare a meno, e che è l’unica base su cui è possibile innestare qualsiasi processo di riconversione economica.