L’ossessione per la ragazza spigolosa. Che non voleva dire scontrosa, ma magra, così magra che venendone a contatto con le sporgenze corporali ci si faceva anche male. Una difesa efficace per tenere alla larga i giovanotti indesiderati. Ma figurarsi! A nessuno passava per la testa di azzardare l’approccio con una scarnita, tutta pelle e ossa. I gusti sono gusti, però, e un tipo del genere era quello cercato da Fulvio. Il quale usava l’aggettivo «doppio», declinato al femminile.

«La vuole proprio doppia» diceva, raddoppiando più del dovuto il suono della «p», per porre l’attenzione su chi, all’opposto, preferiva la fanciulla morbida, dalle forme generose. Da diciottenni ancora succubi dei lacci scolastici, l’altro sesso, oltremodo difficile d’avvicinare, potevamo solo immaginarcelo. C’era posto, nella nostra eccitata immaginazione, per le ragazze ossute? Fulvio aveva superato da un pezzo il periodo ansioso delle scoperte, andava già per la trentina. Moderatamente affidabile, all’occorrenza sfarfallone, specie nelle relazioni affettive. In quelle basate sull’amicizia, e la nostra si rivelò durevole, mostrava franchezza e al contempo ritrosia. Dalla battuta istintiva e in ogni caso indovinata, ci sguazzava nel lasciarsi attorniare dai più giovani.

Non perché più comodi nel misurarsi, quanto perché, da fondamentalmente immaturo, gli tornava congeniale il ruolo di eterno Peter Pan in vena di ragazzate. E quale seguito aveva, di meglio, se non quello di ragazzi acerbi che aspettavano impazienti di calcare la ribalta? Ci calamitava l’ininterrotta disponibilità di quell’essere sornione che faceva tipo, al limite subivamo un minimo di pedanteria, come pure le esposizioni delle tresche tanto particolareggiate quanto improbabili. Allora appariva del tutto normale che le ragazze venissero catalogate dal peso denunciato sulla bilancia.

Si valutava la distinzione fra secche e formose mentre della personalità di ognuna, che tristezza, si sorvolava allegramente: il soggetto femminile visto come oggetto di desideri passeggeri. I più esuberanti si bruciavano veloci di quei desideri, che non più passeggeri, diventavano stabili e dunque routine. A quel punto fine della corsa e malinconica uscita di scena. Il gioco continuava, e anche a lungo, per coloro acclimatatisi all’ombra del Sornione che aveva fatto scuola con la versione delle ragazze spigolose. Il suo spirito libertario, non dipendente da vincoli, stava a ricordare che la stagione della gioventù, illusoria e fuggevole, è un bene da godere quanto più possibile. La ragazza che piace abbaglia, fa perdere la testa e poi inchioda; l’altra, quella sgraziata, non imprigiona, consente di restare sulla scena e concorre a dilatare l’età della strafottenza. Per responsabilizzarsi, o per morire, c’è sempre tempo.