Alla scoperta di Pine Bridge
Intervista La giovane regista indaga il mistero della scoperta delle proprie radici e dell'attaccamento alla terra d'origine
Intervista La giovane regista indaga il mistero della scoperta delle proprie radici e dell'attaccamento alla terra d'origine
Prodotto dalla Significant Productions di Forest Whitaker, presentato all’ultimo festival di Cannes, Songs that My Brother Taught Me è l’esordio promettente della giovane regista Chloé Zhao. Ambientato nella riserva di Lakota Pine Ridge, in North Dakota, racconta il profondo legame tra un fratello e la sorella minore.
Come ti sei avvicinata a Pine Bridge?
Ho letto un articolo che parlava dell’epidemia di suicidi di teenager in una riserva in North Dakota. Successivamente ho visto una cartolina di Pine Ridge, sono rimasta folgorata da quel’immagine e ho provato un forte desiderio di conoscere quel posto. Alla mia prima visita, mi sono fermata a una pompa di benzina per compare un pacchetto di sigarette ed ho visto un ragazzo con una bandana in testa, che cavalcava senza sella. Mentre lo guardavo mi veniva voglia di chiedergli se potevo fotografarlo per capirlo.
Cosa hai trovato nel viaggio?
È un posto pieno di contraddizioni. A Pine Ridge ci sono tanti giornalisti che filmano in continuazione, spesso hanno un atteggiamento non rispettoso, di conseguenza gli abitanti sono diffidenti quando qualcuno si presenta con una telecamera. Ho percepito questa resistenza e rifiuto subito, e provavo una grande difficoltà ad avvicinarmi a loro. Un mio amico mi ha detto «se stai qui poco tempo ti trattano come uno dei tanti report ma se vivi qui con loro un poco più a lungo, allora ti prenderanno sul serio». Ho seguito il suo consiglio e vi ho trascorso quattro mesi, poi sei e lo scorso anno otto mesi. Sono diventata parte della comunità. Ho dovuto adattarmi al luogo. Da Williamsburg Brookilng a South Dakota. Alla fine mi sono totalmente innamorata di Pine Ridge.
È un film di finzione ma sembra un documentario sul territorio, che segue i ritmi narrativi del posto. Come hai elaborato la sceneggiatura?
Si è quasi un documentario che entra in stretto contatto con il posto. Lo script è cresciuto, lievitato naturalmente, proprio stando con loro. In realtà ho girato senza una sceneggiatura vera. Osservavo una situazione, le persone, e giravo qualcosa, poi riguardavo quello che avevo girato e scoprivo qualcosa di nuovo e mi ritrovavo a rimettere in discussioni le mie decisioni e iniziavo a seguire un altro percorso, cambiando il soggetto della storia che raccontavo e il contenuto.
C’è qualche episodio in particolare nel film che hai preso dalla realtà?
Si ce ne sono diversi. Quello più eclatante è la casa in fiamme di Jash. È un fatto avvenuto realmente, mentre eravamo nella riserva, un fulmine è caduto sulla sua casa e l’ha incendiata. Ovviamente ho chiesto a loro il permesso, prima di mettere questo episodio nel film.
Hai usato attori non professionisti, pur avendo una produzione genersoa alle spalle, mi racconti come hai costituito il cast?
Ho utilizzato solo tre attori professionisti, che non avevano alcun legame con Pine Ridge. Il resto del cast è costituito interamente da attori non professionisti, abitanti della riserva. Non è stato facile prendere questa decisione. All’inizio ho avvertito la pressione dell’esordiente di usare professionisti, non da parte dei produttori ma da amici e collaboratori. Qualcuno mi ha detto pure che potevo avere tra il cast attori di Twilight, e che in questo modo il mio film avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere. Non trovavo i finanziamenti. Quando i soldi del progetto sono arrivati, con Forest e Nina, mi hanno dato totale libertà di scelta, e allora ho deciso di usare attori non professionisti. Ho avuto molto supporto all’inizio del mio progetto, ma quando si è trattato di mettere i soldi, Forest e Ninas sono stati gli unici, con la loro produzione che hanno mantenuto l’impegno finanziario.
Avevi lavorato alla sceneggiatura durante il Sandance LAb ed era il tuo primo film. Quale è stato il tuo percorso successivo alla scrittura?
È stato un percorso alla scoperta delle radici di appartenenza. Ho vissuto in molti luoghi, Beijin, Londra, Massachusetts, New York. Sono cresciuta, senza mai sentirmi abbastanza attaccata ad un posto per dire «mi sento a casa», «qui ci sono le mie radici». Per questo non riuscivo a capire il senso di appartenenza delle persone di Pine Bridge. Il loro attaccamento ostinato al territorio era per me irrazionale. Fino a quando non sono andata a Pine Bridge non ho mai capito il senso di appartenenza. A New York le persone vanno e vengono, Quando sono adata a Pine Ridge la prima volta la cosa che mi ha colpita di più è stata che gli abitanti avevano forti relazione con la comunità e con il luogo. Ci sono risvolti positivi e negativi di questa situazione. Ero curiosa di capire il motivo. Mi tormentava la domanda «perché non se ne vanno se la situazione è così difficile qui. Siamo in America e hai tutte le opportunità perché non ve ne andate?». Il mio film è un’ indagine su questo e ho cercato di sollevare delle domande senza dare risposte.
Questo film dimostra che i soldi non sono importanti per il tuo cinema e la logistica del pure. Dove girerai il tuo prossimo film?
In Centro America. Forse in Wyoming o Nebraska o South Dakota. Sono attratta da quella parte d’America che sta scomparendo. Andrò alla ricerca di territori che contengono tanta storia di vita. Quelle piccole città isolate che incontravo mentre guidavo per raggiungere Pine Ridge. Sono attratta da quelle culture destinate a scomparire nei prossimi venti anni. In fondo, non è tanto il posto in sé che m’interessa ma agli individui che lo popolano.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento