Nella sua stanza di bambino, Leo Lionni non aveva spazio per i quaderni aperti sul suo tavolo: questo, infatti, era stipato all’inverosimile di erbari, piccoli orti, teche con insetti. Un mondo vegetale scelto come compagno di giochi lo circondava ogni pomeriggio. È da lì, da quel ricordo di un tempo passato tra le piante e gli animali di un microcosmo domestico, che nacque probabilmente l’idea di inventarsi – una volta divenuto adulto – una botanica «fai-da-te». Lionni, nato ad Amsterdam nel 1910, poi italiano di adozione, infine americano a causa delle leggi razziali, grafico pubblicitario, scrittore immaginifico e autore amatissimo di letteratura per l’infanzia, nel 1977 «vide» una serie di piante «che l’occhio umano non percepisce». E da quel momento non può sottrarsi al suo compito: redigere un grande albo scientifico in cui classificare la sua Botanica parallela, fra le cui pagine prendono vita le estrose artisie, ma anche il giraluna oppure gli strangolatori. Gallucci ripropone un assaggio di quel catalogo, in un bel libretto formato tascabile (pp.125, euro 10, disegni dell’autore), pescando qua e là fra i capitoli e i «personaggi vegetali», mantenendo la successione originale della prima edizione.

Essendo primavera inoltrata, piace rimanere immersi nel verde vagabondando dentro parchi che custodiscono innumerevoli storie segrete con un altro albo – splendido – scritto e illustrato da Lucia Scuderi. È Il giardino delle meraviglie, edito da Donzelli (pp. 50, euro 20), che racconta le biografie di gelsomini, ulivi, capperi e alberi di limoni, facendo tappa su una isola come la Sicilia, ricca di specie endemiche del Mediterraneo. Scopriamo così che l’echinocactus è conosciuto anche come «cuscino della suocera» (evidentemente le spine servono come seduta per persone non gradite). Al fico, invece, è legata la tradizione di una ricetta antica, le sarde a beccafico, che prende il nome da un piccolo uccello golosissimo dei frutti tanto da starsene sempre appollaiato fra i rami dell’albero. Se il limone ha origine in India e Indocina, ormai l’immaginario l’ha assegnato all’Italia e a molte aree del Mediterraneo (questa volta il consiglio culinario, un piatto che possono preparare anche i bambini, sono le polpette in foglie di limone). I
nfine, l’ulivo, la pianta simbolo della nostra civiltà – anche Romolo e Remo secondo la leggenda, nacquero all’ombra delle sue fronde. A favorire la sua crescita e prosperità in terra italiana (e siciliana) è stata la pratica millenaria dell’estrazione dell’olio.

Il libro di Donzelli accompagna la prima edizione della rassegna Radicepura Garden Festival, dedicata al garden design e all’architettura del paesaggio. Fino al 21 ottobre, nel parco botanico di Radicepura sarà possibile visitare quattordici giardini, realizzati appositamente con le specie più originali coltivate da Piante Faro. La Sicilia è la cornice del primo appuntamento di questa variegata Biennale, ai piedi dell’Etna. Ogni giardino è site specific e misura 150 metri quadrati.
C’è quello verticale, Tour d’Y Voir del paesaggista francese Michel Péna e quello dell’amicizia progettato dalla designer Kamelia Bin Zaal, ispirato alla convivialità dei cortili arabi. Poi ci sono le aree verdi degli artisti più giovani: l’Hortus Salis di Alejandro O’Neill, un omaggio alle saline nate dall’evaporazione del mare nella zona di Trapani e Marsala, e «Re-Live» degli spagnoli Carmen Guerrero Mostazo e Andrea Graña, sul tema dei terremoti e della possibilità di rinascita. S’ispira, invece, alla mantiglia, lo scialle di pizzo usato dalle donne nelle cerimonie, il Jardin de Mantille della francese Maia Agor. Radicepura ospita anche quattro installazioni vegetali: si va dalla creazione artistica-botanica di François Abélanet al Giardino della Dieta Mediterranea, ideato dallo studio Coloco.