È il governo con i suoi decreti a rallentare il percorso della legge elettorale, non i tentativi dell’opposizione di far rispettare decenza e regolamento riportando il testo nella commissione – dalla quale è uscito nella notte rocambolesca dell’occupazione grillina, con una votazione lampo alla quale non hanno potuto partecipare nemmeno tutti i deputati commissari. Le richieste di ripetere quel voto farsa presentate da Sel, Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle (persino loro che con la sceneggiata hanno fornito l’alibi alla seduta lampo) sono cadute nel vuoto. Così ieri l’aula della camera ha liquidato velocemente le pregiudiziali contro la riforma firmata Renzi-Berlusconi. Però per la discussione generale e le prime votazioni sugli emendamenti bisognerà aspettare l’11 febbraio. Colpa dei tanti decreti che gravano sul calendario di Montecitorio, due o tre dei quali a rischio scadenza, che costringerebbero altrimenti la presidente Boldrini a ripetere la forzatura di mercoledì scorso sul decreto Imu-Bankitalia. Quella che ha fatto imbizzarrire i grillini.

Clima meno teso ieri mattina in aula, ma non fino al punto da impedire al cinque stelle D’Ambrosio di mandare «a cagare» qualche collega democratico (seguono scuse e autoassoluzione nello stesso comunicato). L’Italicum è ancora quello uscito dallo studio di Renzi dopo la visita di Berlusconi. Le piccole correzioni concesse successivamente dal Cavaliere (quota premio dal 35 al 37 percento, premio dal 18 al 15 percento e sbarramento per i coalizzati da 5 a 4,5 percento) o guadagnate (la clausola «salva Lega») sono ancora nel fascicolo degli emendamenti. Insieme ad altre quasi quattrocento proposte di modifica, che saranno però falcidiate dalla procedura di «contingentamento» dei tempi, consentita a febbraio dall’aver cominciato a discutere la legge a gennaio (il 31 gennaio). Boldrini evidentemente provata dalle giornate di fuoco sul decreto Imu-Bankitalia, fa sapere che concederà minuti supplementari per gli interventi. I renziani, massimi sponsor della riforma, incassano ostentando ottimismo: una settimana in più non è la fine del mondo. Anche perché la prima prova del voto segreto ieri è andata bene, per loro. I franchi tiratori sono rimasti sotto la soglia di pericolo: in meno di trenta hanno disobbedito alle indicazioni dei gruppi sulle pregiudiziali. Dopodiché la tattica aventiniana dei 5 stelle (alla quale La Russa si è detto contrario «per ragioni storiche», a proposito di richiami al fascismo) finirà col favorire l’asse Renzi-Berlusconi. Perché più difficile sarà per i dissidenti nascondersi nel mucchio quando si voteranno gli emendamenti con il voto segreto. Stessa fuga dall’aula ha adottato la Lega, che però fa solo finta di opporsi all’accordo, visto che è protetta dalla clausola della «rappresentanza territoriale» imposta dal Cavaliere. Malgrado qualche malumore annunciato, il Nuovo centrodestra di Alfano si è stretto alla coorte di Renzi e Berlusconi, mentre i centristi di Casini e di Monti hanno giocato la parte classica dell’opposizione di sua maestà: da quelle parti il massimo del distinguo è stata l’astensione dell’ex ministro Balduzzi «in quanto costituzionalista».

Ma la navigazione della riforma elettorale non sarà necessariamente tranquilla. È vero, la minoranza del Pd mette le sue buone ragioni di critica alla legge in secondo piano rispetto alla paura di passare per «frenatori». Eppure che qualche modifica «s’ha da fare» lo ripetono in coro bersaniani, bindiani e lettiani.

Poche speranze, però, che le modifiche riguarderanno le parti peggiori della legge, cioè le soglie di sbarramento spropositate e il meccanismo che prevede il trasferimento dei voti dei piccoli partiti a quelli più grandi della coalizione. Difficile anche che si torni indietro sulle preferenze, Berlusconi non lo concederà. Possibile invece che venga travasato dal Porcellum il meccanismo che consente di recuperare all’interno della coalizione il miglior perdente, il primo partito fermato dallo sbarramento. Qualche modifica andrà concessa anche al senato, che non può non toccare palla, oltretutto lì Fi e Pd hanno numeri meno sicuri. Anche perché i senatori affronteranno la legge elettorale quando Renzi avrà già calato la sua «riforma» del senato, una trasformazione che somiglia molto all’abolizione.