A una settimana dall’apertura, l’Ospedale della Fiera di Milano – celebrato da Regione Lombardia nell’affollata conferenza stampa finita nel mirino del Codacons per gli assembramenti provocati – conta appena sei pazienti, tre dei quali arrivati nelle ultime 48 ore. Una struttura che con i suoi 24 posti, poi diventati 53, prometteva di dare supporto alle realtà ospedaliere lombarde in sofferenza ma che, di fatto, non riesce ancora a mettere a frutto le proprie potenzialità.

Da quanto riferiscono fonti sanitarie, l’operatività di questo Covid-hospital è compromessa dall’assenza di personale, già impegnato a pieno regime nelle altre strutture del territorio. «L’80% di quello attualmente in servizio – spiegano dal Policlinico di Milano, che ha preso in carico la direzione sanitaria della nuova struttura – è interno al nostro ospedale, il restante 20% è stato reclutato attraverso i bandi delle Regione e della Protezione civile».

Parliamo di circa 50 persone tra medici, infermieri, tecnici radiologi e di laboratorio e personale amministrativo, sufficiente solo per i pazienti attualmente presenti nella struttura. Come spiegano sempre dal Policlinico, «sono necessari, per ognuno, un anestesista e tre infermieri con esperienza di terapia intensiva su un turno di 8 ore». Il personale è stato spostato dall’Ospedale Maggiore e dalla Mangiagalli (clinica gestita dal Policlinico) su base volontaria.

«Non possiamo dire che questa sia un’operazione che depotenzia le strutture privandole del personale», commenta Luciano Cetrullo, Responsabile aziendale sindacale Cisl Fp del Policlinico di Milano. «Né che sia un lazzaretto, anzi: il personale è altamente qualificato. Piuttosto, ho dei dubbi sull’utilità della struttura e sui costi», aggiunge. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’impressione – anche a detta di alcuni medici che preferiscono restare anonimi – è che il personale della fiera sia «come i carri armati di Mussolini», spostato da una parte all’altra per nascondere le falle del sistema.

A nulla è servito infatti l’appello del governatore Fontana al collega piemontese (alleato di centro destra) Alberto Cirio, cui aveva proposto la disponibilità dei 53 posti di terapia intensiva in cambio di un «prestito» di medici e infermieri. Cirio aveva rifiutato e l’indomani si era già mosso per «raddoppiare i posti di terapia intensiva disponibili portandoli da 287 a quasi 600 e triplicando quelli di sub intensiva da 90 a 270», come aveva spiegato in una nota del 3 aprile. Dunque, conseguenza diretta della scarsità di personale è la mancanza di pazienti: i primi tre, trasferiti dal Policlinico il 7 aprile, non possono considerarsi un alleggerimento alla rianimazione dell’Ospedale maggiore, quanto uno spostamento «per riempire la fiera», dicono alcuni sanitari.

Considerati anche i numeri dei ricoveri in terapia intensiva degli ultimi giorni, che accennano lentamente a diminuire, la prospettiva degli ulteriori 150 posti all’ospedale della fiera appare quantomeno irrealistica. Quanto ai costi, di cui ancora non è stata fornita alcuna rendicontazione, si teme che la spesa – pur trattandosi di fondi derivanti da donazioni private – sia stata eccessiva per una struttura che, con molte probabilità, verrà smantellata di qui a un anno. «Forse sarebbe stato meglio potenziare strutture già esistenti», commenta ancora Cetrullo.

«Parliamo di una struttura clinica senza prospettive future, che – inoltre – non è dotata di tutti i reparti, ma solo della terapia intensiva». Terminata l’emergenza ci si chiede a cosa potrebbe servire una struttura simile. Una stoccata all’indirizzo di Palazzo Lombardia arriva anche da Vincenzo De Luca, presidente della Campania, al termine dei lavori per il Covid-Hospital di Napoli: «Abbiamo fatto un ospedale vero in 10 giorni. A Milano hanno fatto un’operazione analoga dentro la Fiera, ma è una struttura che andrà smantellata alla fine dell’epidemia. Quello realizzato in Campania rimarrà».

A quanto pare, l’eccellenza lombarda di cui tanto hanno parlato il governatore Fontana e l’assessore Gallera ha ancora molta strada da fare per replicare il «modello Wuhan» preso come riferimento per la costruzione record dell’ospedale. A partire dai protocolli: primo tra tutti, il piano pandemico regionale. Datato 22 dicembre 2010.