Economista, filosofo e scienziato della politica, John Roemer è uno degli intellettuali più influenti della sinistra negli Stati Uniti. Tra i fondatori del cosiddetto «marxismo analitico», ha a lungo analizzato l’idea di socialismo di mercato di cui ha fornito una delle descrizioni più rigorose e complete. Insegna a Yale.

Il suo ultimo libro (How we do and could cooperate: A Kantian explanation, Yale University Press) analizza il comportamento degli individui e sviluppa un approccio originale di ispirazione kantiana alla cooperazione sociale, con implicazioni rilevanti per la teoria socialista e marxista. Recentemente, la teoria di Roemer è stata al centro di una conferenza organizzata dalla Review of Social Economy e dall’Institute for the Humanities and Social Sciences della Queen Mary University of London, dove gli è stato conferito un dottorato honoris causa.

Due temi ricorrono nella sua ricerca. Il primo riguarda le caratteristiche di una società ideale, e in particolare la definizione dei principi di giustizia distributiva. Può spiegare la sua teoria dell’uguaglianza delle opportunità?
È emersa nell’ambito della filosofia politica anglosassone e a partire dalla riflessione di John Rawls negli anni Sessanta. L’idea fondamentale è che le politiche sociali redistributive devono compensare gli individui per gli effetti negativi di eventi al di là del loro controllo, ma non per le disuguaglianze di reddito derivanti da scelte consapevoli. Chi nasce in famiglie povere, o con basso livello di educazione, ha molte meno chance di successo rispetto a chi nasce in famiglie con più risorse. Una politica di uguaglianza delle opportunità deve pertanto assegnare maggiori risorse agli individui svantaggiati, ad esempio attraverso il sistema educativo.
Il reddito di un adulto è determinato da due insiemi di fattori: circostanze al di là del suo controllo e lo «sforzo», vale a dire le scelte individuali – quantità di lavoro svolto, occupazione scelta e così via. Tuttavia, lo sforzo e le scelte individuali sono a loro volta influenzate dalle circostanze, e la teoria deve tenerne conto. Pertanto l’uguaglianza delle opportunità sarà raggiunta nella società quando la distribuzione del reddito sarà approssimativamente uguale, per tutti i gruppi di individui con diverse circostanze. Solo i paesi scandinavi si avvicinano a questo ideale oggi.

Qual è la sua definizione di socialismo, e quale relazione esiste tra l’ideale socialista e l’uguaglianza delle opportunità?
Nell’accezione classica, il socialismo è un sistema economico in cui le principali imprese sono di proprietà statale. Il reddito generato da queste imprese, che rappresenta una larga parte del reddito da capitale, finisce in mani pubbliche. Se il paese è una democrazia, la destinazione di tale reddito è decisa dalla collettività.
A mio parere, tuttavia, è preferibile definire il socialismo in base agli obiettivi che intende realizzare. Una società socialista ha due principali caratteristiche: (1) una radicale uguaglianza delle opportunità, e (2) la presenza di un diffuso ethos cooperativo tra gli individui. L’aggettivo «radicale» indica che in una società socialista è necessario correggere le disuguaglianze derivanti da circostanze avverse non solo di natura socio-economica, ma anche per esempio genetica. Un ethos cooperativo è in contraddizione con l’individualismo che caratterizza «l’agente economico» in una società capitalista. L’individualista agisce in modo da massimizzare il proprio benessere, date le azioni degli altri individui; un agente cooperativo si considera «sulla stessa barca» insieme a molte altre persone, e sceglie la strategia che, se adottata universalmente, porterebbe benefici a tutti. Questo concetto può sembrare un po’ vago, ma può essere tradotto rigorosamente in un protocollo per le scelte economiche.

Lei ha disegnato un quadro istituzionale dettagliato per una società socialista. Cos’è il socialismo di mercato?
A mio avviso qualsiasi economia complessa deve usare il meccanismo di mercato. Il problema è come ottenere l’uguaglianza delle opportunità se l’attività economica è coordinata dai mercati. Credo che sia possibile, e si tratta di combinare i mercati con un ethos cooperativo dei lavoratori. La combinazione di mercati e individualismo è tossica, ma l’uso dei mercati in una società dominata da uno spirito cooperativo può portare non solo all’efficienza economica, ma anche all’uguaglianza delle opportunità e (anche) dei redditi.
L’errore dei sostenitori del socialismo di mercato è stato identificare il socialismo con la proprietà pubblica delle grandi imprese. Questo tipo di relazioni di proprietà può svolgere un ruolo in una economia socialista, ma non il ruolo più importante. Quest’ultimo è quello svolto da un ethos cooperativo che in una società socialista guiderebbe le scelte economiche di milioni di individui.
Le società di socialismo reale con pianificazione centrale dell’economia e partito unico non hanno funzionato. La gente non combatterà per il socialismo se non crederà che la nuova società funzioni e sia molto meglio di quella attuale.

La leadership del Partito comunista cinese sostiene di guidare la società verso un’economia socialista di mercato. Stanno costruendo una società ideale, o almeno una vera alternativa al modello economico dominante?
La Cina ha compiuto un miracolo economico: ha sollevato centinaia di milioni di persone dalla povertà in brevissimo tempo. Allo stesso tempo le distribuzioni del reddito e della ricchezza sono diventate estremamente ineguali, benché non come negli Stati Uniti. In che direzione va la Cina? Sono restio a fare previsioni, perché la Cina è unica. È l’unico paese passato da un modello di «socialismo reale» novecentesco a un’economia di mercato di successo. Tuttavia, sono pessimista e dubito che la Cina si stia muovendo nella direzione di un’economia veramente socialista, poiché lo spirito cooperativo è in larga misura scomparso.

Si può dire che uno dei ruoli fondamentali delle organizzazioni sindacali sia stata la promozione di una cultura solidaristica e cooperativa nella classe operaia?
Credo che le organizzazioni sindacali abbiano svolto un ruolo fondamentale nelle società capitaliste, favorendo una significativa redistribuzione del reddito attraverso l’istituzione dello stato sociale. I sindacati hanno promosso un’etica cooperative e solidaristica tra i lavoratori, che a loro volta hanno svolto un ruolo fondamentale nella crescita dei partiti socialisti e socialdemocratici in quasi tutte le nazioni europee. Nel ventesimo secolo anche la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale hanno contribuito a far crescere la sinistra. In tutte le elezioni avvenute nelle democrazie europee nel biennio 1945-6, la sinistra ha ottenuto circa la metà dei voti.
Questo significa che condizione necessaria per aprire il prossimo capitolo nella storia del socialismo è la ricostruzione del movimento sindacale nei paesi capitalisti, ovvero un’altra guerra mondiale antifascista? Non credo. È impossibilie prevedere se i sindacati riprenderanno forza, alla luce delle trasformazioni tecnologiche attuali, della precarizzazione del lavoro e della globalizzazione. Si può prevedere il cammino? Assolutamente no. Come dicono i cinesi, bisogna attraversare il fiume tastando le pietre.

Qual è la sua analisi della vittoria di Trump?
Credo che la causa principale della vittoria di Trump sia l’estrema disuguaglianza nella crescita dei redditi negli Usa durante gli ultimi quarant’anni. Il reddito reale medio della metà più povera della popolazione statunitense è diminuito dell’1% tra il 1980 e il 2014. Invece, il reddito reale dell’1% più ricco è più che raddoppiato nello stesso periodo. Una delle conseguenze più drammatiche di questo impoverimento relativo, e della percezione di irrilevanza che genera, è il crollo nell’aspettativa di vita dei maschi adulti, bianchi, privi di educazione, a causa dell’abuso di oppioidi. Trump è stato l’unico candidato che ha capito questo malessere, e l’ha nutrito di razzismo, misoginia e xenofobia.