Alla Camera continua la tragedia degli equivoci sul reddito minimo
Ddl Povertà L'Italia ha bisogno di un moderno sistema di tutela universalistico dei diritti sociali, ma Pd e Cinque Stelle si rinfacciano i rispettivi equivoci: il primo è convinto che il modesto reddito per l'inclusione attiva sia un reddito minimo, mentre gli altri credono che il loro reddito minimo sia un "reddito di cittadinanza". Tito Boeri (Inps): «Il provvedimento ha perso pezzi quando ha varcato le porte di Montecitorio». Nessuno risponde all'emergenza di chi è disoccupato, precario e povero
Ddl Povertà L'Italia ha bisogno di un moderno sistema di tutela universalistico dei diritti sociali, ma Pd e Cinque Stelle si rinfacciano i rispettivi equivoci: il primo è convinto che il modesto reddito per l'inclusione attiva sia un reddito minimo, mentre gli altri credono che il loro reddito minimo sia un "reddito di cittadinanza". Tito Boeri (Inps): «Il provvedimento ha perso pezzi quando ha varcato le porte di Montecitorio». Nessuno risponde all'emergenza di chi è disoccupato, precario e povero
La tragedia degli equivoci sul reddito che oppone da due anni la maggioranza (Pd) all’opposizione (Movimento Cinque Stelle) continua più elettrica e confusa che mai in queste ore alla Camera dove è iniziata la discussione sul disegno di legge per la delega al governo sulla lotta alla povertà. I ruoli sono ormai ben definiti: i Cinque Stelle continuano a reputare la loro proposta di legge un «reddito di cittadinanza», mentre in realtà si tratta di un reddito minimo concepito come un sussidio di disoccupazione e vincolato all’accettazione di un’offerta di lavoro per le persone senza lavoro e in condizione di povertà.
Il Pd usa strumentalmente questa confusione in cui si ostina M5S e, come ha già fatto il presidente del Consiglio Renzi, spaccia la modesta proposta Letta-Giovannini sulla «carta di acquisti» Sia («Sostegno per l’inclusione attiva) per un «reddito minimo», cioè una misura condizionata all’accettazione di un lavoro selezionato da un sistema fondato sui principi neoliberali del «quasi mercato» della formazione professionale e della concorrenza tra le regioni e le agenzie interinali. Queste ultime – va ricordato – sono ancora latitanti dato che l’agenzia «Anpal» è ancora lontana dall’essere attiva.
Il «Sia», che il Pd presenta come un «reddito minimo», è una misura di assistenza per le famiglie con figli minori, disabilità grave, donne in gravidanza o con persone over 55 in stato di disoccupazione. Il governo ha stanziato 600 milioni di euro per il 2016, 1,03 per il 2017, 1,054 nel 2018. Fondi giudicati «insufficienti» da Francesco Marsico, coordinatore dell’«Alleanza contro la povertà» (in cui c’è la Caritas e sindacati come la Cgil), perché il governo stanzia poche risorse e mira al risultato parzialissimo di una «stabilizzazione» di tre «poveri» su dieci.
Problemi noti sin dalla fine del gennaio scorso, come documentato su Il Manifesto: sin da subito è apparsa chiara l’impotenza – o la mancanza di volontà – dell’esecutivo rispetto al compito non più rinviabile di costruire un sistema sociale avanzato e universalistico per tutelare tutti coloro che si trovano in povertà, disoccupazione, precarietà. La confusione è aggravata da alcuni governatori del Pd (Emiliano in Puglia, Crocetta in Sicilia) sensibili alle argomentazioni e al peso elettorale dei Cinque Stelle: le loro misure contro la povertà, definite impropriamente «reddito di cittadinanza» servono a pasticciare ancora di più uno scenario già ricco di misure frammentarie che ragionano con la logica assicurativa e non universalistica. Per di più, in Puglia e in Sicilia hanno varato misure nominalmente condannate dal loro partito, ma che in fondo corrispondono al «Sia» contenuto nel «Ddl povertà».
In questo caos che aggrava la situazione, e non la risolve, ieri è tornato a farsi sentire il presidente dell’Inps Tito Boeri. «L’aumento della povertà è stato molto più forte in Italia che in altri paesi – ha detto – La delega del governo ha perso numerosi pezzi appena varcate le porte di Montecitorio». Boeri sostiene un’altra misura contro la povertà, non certo universalistica: per la fascia di popolazione tra i 55 e i 64 anni «che non riesce a trovare un lavoro alternativo e sono lontane dall’età di pensionamento». Anche questa è un’emergenza sociale: il problema è che Boeri propone un altro ammortizzatore sociale a loro dedicato, invece di puntare a una radicale revisione dell’intero sistema che adatta risorse insufficienti a segmenti di esclusi senza risolvere nulla.
Nel frattempo Pd e Cinque Stelle continuano a rinfacciarsi i rispettivi equivoci. Ileana Piazzoni, una delle due relatrici del Ddl, è convinta che il «Sia» è «la prima misura strutturale di contrasto alla povertà» e rimprovera all’opposizione pentastellata la confusione tra «reddito minimo e reddito di cittadinanza». I Cinque Stelle rispondono che il Pd «ricicla la social card del 2012 e lo chiama “reddito minimo di inclusione”». Sinistra Italiana – che a suo tempo ha presentato una proposta di legge sul «reddito minimo» – definisce il ddl «un’occasione mancata». Tra i 200 emendamenti presentati alla Camera, la relatrice di minoranza Giovanna Martelli ha individuato quattro priorità per affrontare l’emergenza: reddito minimo garantito, centri anti-violenza, osservatori sulle periferie e servizi gratuiti per i minori di 16 anni.
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