Almeno per quel che riguarda il risiko societario, quella che inizia domani potrebbe essere la settimana decisiva per celebrare il matrimonio fra Alitalia ed Etihad. Fatto diventare, in questi mesi, più una parodia dei Promessi Sposi che un accordo con forti, reciproche convenienze. Dalle quali sono naturalmente esclusi i quasi 1.700 «esuberi strutturali» di Cai che, insieme agli altri 616 colleghi di lavoro ai quali è stato promesso un rientro nel «perimetro aziendale», si sono visti aprire subito le procedure di mobilità. Con tempi quantomai stringenti e sotto lo sguardo attento degli arabi di Abu Dhabi, che anche su questo fronte si sono resi conto della differenza che passa fra gli annunci trionfalistici del governo e la realtà.

Per chiarire la situazione che verrà a crearsi in questo mese di agosto, la discussione alla Magliana sugli esuberi finirà con la firma di un verbale di mancato accordo, visto che né la Filt Cgil né il sindacato di base Usb hanno dato il loro ok al diktat di Etihad, accettato da Alitalia-Cai e dallo stesso governo, di tagliare il 15% degli attuali addetti dell’ex compagnia di bandiera italiana.
Per la precisione 1.590 addetti di terra, 126 piloti e 420 assistenti di volo, oltre a 35 dipendenti di terra di AirOne.

Il passaggio successivo sarà al ministero del lavoro, al termine del quale prenderà il via la fase dell’esodo incentivato: in altre parole soldi (10mila euro lordi) per chi deciderà di licenziarsi.
A metà settembre infine i manager di Alitalia-Cai dovranno affrontare i lavoratori che non vogliono lasciare volontariamente l’azienda. La maggioranza, visto che il cosiddetto “accordo quadro” del 12 luglio scorso non garantisce per il futuro: di fronte ai 616 addetti per i quali è prevista la ricollocazione in Alitalia-Etihad (a danno degli stagionali, s’intende), ce ne sono 681 che dovrebbero essere esternalizzati in altre aziende, in un settore come quello del trasporto aereo dove da molto tempo si parla solo di licenziamenti. Per gli altri 954 verrà sperimentato il «contratto di ricollocamento», sul quale punta il ministro del lavoro Poletti ma che, nell’Italia di oggi, sembra offrire le stesse possibilità di fare un terno secco al gioco del lotto.

In parallelo ai passaggi legati alla procedura di mobilità, il management di Alitalia-Cai dovrà affrontare anche la vertenza legata al nuovo contratto di settore e agli accordi aziendali, che prevedono sacrifici per 31 milioni da parte dei lavoratori della compagnia. Entrambi non sono ancora stati firmati dalla Uilt e dalle sigle sindacali dei piloti e degli assistenti di volo Anpac, Avia e Anpav, aggiungendo così un’altra variabile alla partita complessiva fra Alitalia ed Etihad. «Le questioni ancora in sospeso della riduzione del costo del lavoro e del contratto – spiega Luigi Angeletti – saranno affrontate e risolte con l’attuale Alitalia». Al tempo stesso la Uil ribadisce che, prima di affrontare la vertenza, occorre aspettare il via libera di Etihad al matrimonio con Alitalia.
Infine c’è il risiko societario. «Serve ancora qualche approfondimento», ha fatto sapere l’ad Gabriele Del Torchio annunciando l’ennesima proroga dei tempi concessa da Etihad. Che però vuole capire bene dove andranno a finire i soldi dell’aumento di capitale da 300 milioni sul quale venerdì prossimo dovranno esprimersi gli azionisti di Alitalia-Cai.

Per gli arabi, va da sé, dovrebbero finire nel profondissimo pozzo dei debiti della compagnia. Ma ad esempio Poste Italiane, con l’avvallo del governo, ha stabilito che i suoi 70 milioni finiranno invece nella nuova mid-company destinata ad avere il 51% di Alitalia-Etihad. E questa strategia non è stata per niente apprezzata dagli altri soci forti di Alitalia-Cai. Dalle banche, Intesa San Paolo e Unicredit, all’Atlantia di Benetton, per non parlare dei piccoli azionisti.

Del resto, dopo i 21 milioni di Air France-Klm (7% di Alitalia-Cai), anche Atlantia ha dovuto rendere noto che sull’utile del primo semestre 2014 pesano per 45 milioni di euro «le rettifiche di valori riferibili alla partecipazione in Alitalia».