Economia

«Alitalia, intervenga Fs»

«Alitalia, intervenga Fs»Massimo Mucchetti, presidente della Commissione industria al Senato

Trasporti Massimo Mucchetti (Pd): «Sarebbe un’innovazione coraggiosa»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 15 ottobre 2013

Trecento milioni di euro di aumento di capitale, di cui 75 milioni da Poste Spa. Unicredit, Intesa Sanpaolo e altre banche si sono impegnate per 200 milioni. Queste le cifre del piano per il salvataggio di Alitalia, oggetto dell’assemblea dei soci che al momento in cui scriviamo non si è ancora conclusa. «Mi chiedo quale sia il valore residuo di Alitalia – afferma Massimo Mucchetti, presidente Pd della Commissione Industria al Senato – e il prezzo delle nuove azioni emesse con l’aumento di capitale».

Ma non è zero il valore residuo di un’azienda tecnicamente fallita?
Dovrebbe, ma temo che così non sia. Intesa Sanpaolo aveva fatto circolare una carta nella quale si ipotizzava un valore residuo di duecento milioni al quale poteva essere aggiunta la conversione di un prestito obbligazionario di poco meno di 100 milioni. Su questa base si sarebbe dovuto costruire un aumento di capitale di 300 milioni, per metà a carico della mano pubblica. In tal modo, gli azionisti privati attuali, i cosiddetti patrioti, avrebbero avuto ancora il 50,1% di Alitalia e Air France Klm avrebbe conservato una quota superiore al 20% così da conservare il diritto di veto. Come sapete, gli accordi parasociali prevedono che nelle materia oggetto di assemblea straordinaria si decida non con i due terzi più uno dei voti, ma con l’80%.

Che fine ha fatto questa carta?
È finita in archivio. Poste mettono la metà della metà dell’aumento di capitale, che resta di 300 milioni. E però non sappiano altro. E questo poco che sappiamo è davvero troppo poco. Dai conti che ho visto io, Alitalia è, come dice lei, tecnicamente fallita. Li ho ricordati domenica su L’Unità: 93 milioni di patrimonio netto negativo e 363 milioni di avviamenti da svalutare, probabilmente a zero. Il governo non dice nulla su questo. Vedremo, più avanti, la Corte dei conti.

Sarebbe in corso una dura trattativa tra il governo e AirFrance. Se non andrà a buon fine, sostiene il ministro Lupi, si cercherà un altro partner strategico…
Contesto che questa trattativa sia dura. Ma quando mai? Lasciando ad Air France la possibilità di conservare il diritto di veto versando anche meno di 75 milioni? Mi pare che sarebbe conveniente trattare su più tavoli per mettere in concorrenza Air France con altri vettori invece di trattare con i francesi senza avere ancora in mano alternative e poi andando a cercare le alternative essendo stati rifiutati dai francesi. Ma per poter trattare su più tavoli bisogna togliere il diritto di veto a Parigi e per riuscirci bisogna avere il coraggio di prendere atto del fallimento dei «patrioti», dei loro banchieri e dei loro padrini politici e sindacali. Capisco che la cosa comporta dei costi. Ma se si tiene la testa rivolta al passato non si vedrà mai un futuro decente.

Che tipo di azienda è diventata Poste Spa?
Non ne ho idea. La lunga gestione di Sarmi ha avuto spesso risultati buoni. Questa iniziativa non mette a rischio il risparmio postale come è stato detto da polemisti fuori dalla realtà. Dovesse anche perderli tutti, i 75 milioni che mette in Alitalia, Poste conserverebbe sostanzialmente intatta la sua liquidità, che si alimenta di oltre 240 miliardi di libretti e buoni postali. E tuttavia non ho ancora capito come Poste pensi di far rendere questo suo nuovo investimento in partibus infidelium. Poste ha una microcompagnia aerea [Mistral Air, ndr.] che per quadrare i conti associa alle funzioni logistiche proprie del servizio postale attività charter. Date le sue ridottissime dimensioni non può essere il perno di un’Alitalia low cost. Sulla carta, Poste potrebbe anche detenere una partecipazione in Alitalia, ma come pegno di un accordo commerciale. Se un intervento di Fs in Alitalia sarebbe un’innovazione coraggiosa nella politica del trasporto, l’intervento di Poste mi pare onestamente temerario. Leggo sui giornali che Sarmi sta lavorando a un piano industriale. Ciò vuol dire che ancora non ce l’ha. E nemmeno è chiaro su quali basi – su quale valutazione residua della compagnia e su quali prezzi per la nuova emissione azionaria – abbia ricevuto via libera dal consiglio di amministrazione delle Poste.

Perché sarebbe utile sentire Ferrovie dello Stato per Alitalia?
L’Ad Mauro Moretti è stato sentito a palazzo Chigi, sia pure con un anno di ritardo. Ha fatto sapere di avere un piano industriale per Alitalia dalla fine del 2012. L’architrave di questo piano è la rispecializzazione di Alitalia in una compagnia low cost e in un’altra legacy con nuove rotte intercontinentali. E’ quanto Air France non vuole. O almeno non vorrebbe. Ma la rispecializzazione parte dal fare tabula rasa del pregresso. Come mai non c’è una corsa di investitori privati a prendere Alitalia? Che sia perché è fallita? Ma allora perché non prenderne atto e ricominciare su basi nuove, senza più opacità?

Quali criteri bisognerebbe seguire per le privatizzazioni in arrivo?
L’esperienza degli anni Novanta meriterebbe una ricerca storica seria, basata sui numeri e non sulla riproprosizione delle antiche querelle tra mercatisti e statalisti. Certo, non furono tutte luci. Oggi non credo che il governo abbia già maturato decisioni. Anziché fare previsioni improbabili, da talk show, mi pare sia meglio chiarirci le idee sui criteri da seguire. Ne indico tre. Primo, l’incasso delle privatizzazioni va ad ammortamento del debito pubblico e non a copertura della spesa corrente, anche se si tratta di privatizzazioni, per così dire, di secondo grado….

Sarebbe?
Se a vendere fosse la Cassa depositi e prestiti che poi girerebbe il quantum al governo sotto forma di dividendo straordinario o di redistribuzione di riserve. In secondo luogo vendere se il risparmio atteso sugli interessi passivi relativi alla quota del debito pubblico che verrebbe cancellata sia superiore ai dividendi e alla possibile rivalutazione delle azioni privatizzande. Terzo criterio, si vende in modo tale che i futuri assetti proprietari siano d’aiuto allo sviluppo delle imprese privatizzate. Evitiamo nuove Telecom, insomma.

Che ruolo svolgerà in questa partita la Cassa Depositi e Prestiti?
La Cassa sarà quello che, sentiti i suggerimenti del management e analizzato lo stato del Paese, vorrà il suo azionista, e cioè il ministero dell’Economia per conto del governo. Mi auguro che la Cassa continui a fare il suo lavoro tradizionale, che consiste nel prestare denari agli enti locali per i loro investimenti e nel rifinanziare il credito bancario alle piccole e medie industrie. E mi auguro pure di vederla dare risposte alle esigenze del Paese rimaste scoperte con la privatizzazione dell’Imi e la liquidazione dell’Iri.

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