Economia

Alitalia, il catalogo di un lungo fallimento

Alitalia, il catalogo di un lungo fallimento

Disastro annunciato Dopo la pessima operazione messa in piedi da Berlusconi, la compagnia italiana è di nuovo al collasso. Chi può salvarla? Non ci sono alternative: gli «stranieri»

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 10 ottobre 2013

Mi sono laureato molti decenni fa, a Roma. Nello stesso periodo lo ha fatto un mio amico che, qualche settimana dopo l’evento, ricevette una lettera dell’Alitalia che lo invitava a un colloquio di assunzione. Entrò molto contento nei ranghi della compagnia. Non sapeva cosa lo stava aspettando. Lo incrociai circa un anno dopo per strada. Mi apparve quasi sconvolto; mi fece un racconto concitato e terribile del clima che regnava all’interno della società, tra caos organizzativo, favoritismi, ingerenze quotidiane dei partiti, episodi di corruzione, complicità di gran parte dei sindacati.
Scorreva sotto i miei occhi un catalogo di tutti i vizi che una organizzazione può avere.
Dal momento in cui il mio amico mise piede nella società romana ad oggi non sembra che siano cambiate molte cose.
In particolare, il cattivo management, stando anche a quanto suggerisce molto di recente anche il Financial Times, vi regnerebbero ancora. L’Alitalia non registra un utile dal 2002. Negli ultimi quattro anni, dopo la brillante operazione di intervento messa a punto da Berlusconi e dal fior fiore dell’imprenditoria e del management nazionali, dai Riva, a Tronchetti Provera, a Benetton, a Ligresti, a Passera – il magnifico banchiere di sistema-, la società ha perso altri 1,1 miliardi di euro. Nel primo semestre del 2013 soltanto ne ha persi 294, quasi il 50% in più rispetto alla stesso periodo dell’anno precedente. Ora essa è di nuovo senza soldi, con un miliardo di debiti e la necessità di trovare presto 300 milioni per evitare il fallimento; questo stesso sabato mancherà il carburante. Nel frattempo il consiglio di amministrazione ha varato un ridicolo aumento di capitale di 100 milioni di euro. Si spera comunque in un miracolo.
A livello di informazioni generali, ricordiamo che la società ha fatturato circa 3,6 miliardi nel 2012, ha 14.000 persone in organico e gestisce 140 aerei.
Nessuna persona sensata pensa che la compagnia, da sola, possa mai farcela ad andare in utile. Tra l’altro, con il piano Berlusconi furono a suo tempo tagliati i voli a lungo raggio, che oggi sono quelli con le maggiori prospettive, con un mercato in rilevante crescita, con relativamente poca concorrenza e la pratica assenza delle compagnie low-cost. Si mantennero invece alti i prezzi sulle rotte domestiche, quando il quasi monopolio di mercato era orami alla fine. Naturalmente il fatturato non è mai decollato.
Le prospettive sono molto difficili. Il mercato interno, oltre che messo in difficoltà dalla crisi, è soggetto alla concorrenza virulenta dell’alta velocità e dei vettori low-cost, mentre su quello internazionale, che presenterebbe maggiori opportunità, la compagnia è molto debole ed ha poche rotte e pochi velivoli.

Air France

Il miracolo potrebbe essere rappresentato dall’arrivo di Air France-Klm, che sarebbe intervenuta quasi con entusiasmo cinque anni fa, quando fu invece bloccata dai patrioti nostrani.
Ma la compagnia franco-olandese ora ha anch’essa i suoi problemi. Da qualche anno i conti non vanno tanto bene perché anche per essa le condizioni di mercato non sono particolarmente positive. Ricordiamo incidentalmente che nel nostro continente sopravvivono ancora circa 220 operatori e che la redditività media delle compagnie europee è la più bassa di tutto il mondo.
L’anno scorso la società franco-olandese ha annunciato un piano di ristrutturazione, con l’obiettivo di tagliare in tre anni 2 miliardi di euro dai suoi costi e di riportare i debiti a 4,5 miliardi di euro contro i 6,5 miliardi del gennaio 2012. In tale piano hanno un posto, accanto alla ristrutturazione della flotta, un maggior ricorso al decentramento produttivo (la manutenzione degli aerei sarebbe effettuata ormai per la gran parte, naturalmente, in Cina) e soprattutto pesanti tagli al personale. Un primo piano di dismissioni volontarie ha toccato nel 2012 circa 5100 persone. Qualche giorno fa la società ha annunciato i dettagli di un secondo piano di riduzioni per 2850 persone. Parallelamente essa sta spingendo su di un forte potenziamento della sua società low cost, la Transavia. Naturalmente i lavoratori della nuova compagnia volano per un maggiore numero di ore rispetto a quelli di Air France e guadagnano parecchio di meno. Con le misure annunciate la società prevede di ritrovare un risultato economico positivo per la fine del 2014.

AirFrance+Alitalia

La compagnia vede tutte le difficoltà di ingurgitare Alitalia, una società comunque minuscola rispetto a quella francese (3,6 miliardi di euro di fatturato contro 26,0); ma d’altra parte essa è quasi obbligata a farlo, per non lasciare una fetta importante del traffico italiano nelle mani dei suoi concorrenti maggiori.
Quali le difficoltà per la società? Intanto essa appare restia ad accettare le condizioni poste dal governo italiano per il suo ingresso, quali il mantenimento di Fiumicino come hub (l’impresa franco-olandese ne ha già due) e il trattamento alla pari di Alitalia rispetto alle altre due compagnie. Inoltre essa chiede il taglio del personale (non si sa bene quanti posti di lavoro siano in gioco; le stime vanno da 2000 a 4000 unità) e quello del numero degli aerei (con una riduzione sino alla metà rispetto a quelli attualmente in esercizio, almeno secondo alcune voci). Inoltre essa domanda in maniera pressante una ristrutturazione del debito, visto anche che la società franco-olandese ha già i suoi guai finanziari.
Certo che il potere contrattuale italiano non è elevato, vista la situazione.

Alitalia+Air France+FF.SS.?

Naturalmente, come al solito, i politici si agitano scompostamente e senza vergogna, mentre il governo cerca di intervenire all’ultimo momento per trovare una qualsiasi soluzione che lo tragga d’impaccio almeno per qualche settimana.
Si cerca un generoso donatore di sangue nostrano. Ma la Cassa Depositi e Prestiti non può entrare nel gioco; lo statuto proibisce l’ingresso in un’impresa in perdita. Si è ventilato anche l’arrivo delle Ferrovie dello Stato. Il suo intervento, oltre al fatto che sarebbe contrario, come è già stato sottolineato, alle norme antitrust, non porterebbe ad alcuna sinergia di rilievo tra le due società, mentre le continue perdite della compagnia aerea rischierebbero seriamente di affossare anch’essa.
In ogni caso ci sembra fondamentale che, risolti i problemi di liquidità a breve, si trovi un azionista italiano (a questo punto non può essere che lo stato), che mantenga un presidio di alcuni interessi nazionali e per il resto dia al più presto il timone ad Air France-Klm.
Il caso Alitalia, del resto, dovrebbe essere inquadrato in una visione più ampia relativa alla ristrutturazione di un certo numero di imprese nazionali.
Se prendiamo in considerazione infatti aziende come l’Ilva, Finmeccanica (in tutto o in parte), Indesit, nonché qualche banca in difficoltà, appare inevitabile concludere che il sistema Italia non è più in grado di gestire sul piano della forza di mercato, nonché su quello organizzativo e finanziario, tali partite. In tutti questi casi appare indispensabile ricorrere ad un partner estero.
L’unica opzione possibile per una soluzione decente ai loro problemi strategici appare quindi quella di una presa di partecipazione sostanziale da parte dello stato (o, quando possibile, della Cassa Depositi e Prestiti), con la successiva apertura di colloqui con i partner esteri disponibili. In un paio di casi si potrebbe pensare a soci europei, per gli altri di necessità a gruppi asiatici.
Non sembra che ci possano essere altre strade serie.

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