A Hollywood è riverito per il perfezionismo tendente all’ossessivo e ugualmente temuto per la sua intransigenza sul set. A James Cameron, per dire, non è bastato adattare il naufragio del Titanic nell’omonimo blockbuster, ha voluto immergersi per esplorare il relitto nel mondo sottomarino da cui sostiene di trarre maggiore ispirazione per i suoi film.

L’uomo che ha stabilito un record di immersione raggiungendo nel 2012 in solitario il fondale della Fossa delle Marianne a 10.894 metri sotto il livello del mare, detiene anche quello del primo e secondo posto nella classifica del box office mondiale di sempre con Avatar e Titanic. Produttore, regista e imprenditore dell’immaginazione, Cameron è un tecnologo del cinema ed è stato alto sacerdote della fantascienza distopica (con Terminator) e poi, con Avatar. di quella immaginifica e digitale.

Ora presenta l’ultima creatura della sua galleria di personaggi progressivamente più ibridati: Alita, un adolescente dal volto e dal cervello umano innestati su di un corpo bionico, interpretata dalla giovane attrice di origini peruviane Rosa Salazar, la cui interpretazione è stata digitalmente acquisita (motion capture) e renderizzata in una versione animé. Si tratta per la verità di una figlia surrogata, dato che il film, di cui Cameron è il produttore – Alita: Angelo della Battaglia – è firmato Robert Rodriguez per la regia. Ma lei, Alita, è l’ultima protagonista di un cinema sempre più post-umano, squisitamente cameroniano.

È forse stato questo ad indurlo ad acquisire i diritti del manga di Yukito Kishiro (“Mi è piaciuta subito questa ragazza che non arretra di fronte ad una presenza maligna…”) ed a preparare per 20 anni il film. Poi, immerso nel mastodontico proseguimento di Avatar (di cui sta preparando ben quattro sequel) ha finito per passare il testimone (con 600 pagine di appunti, precisa) a Rodriguez, il Tex Mex tarantiniano che nei suoi studios di Austin ha ricreato Iron City, la metropoli post apocalittica dal sapore latinoamericano dove si svolge la storia ….

Insomma per lei c’è tempo solo per Avatar?

Capisco che ad alcuni la scelta di immergersi del tutto in un unico universo artistico possa forse sembrare curiosa. Altri come George Lucas hanno fatto lo stesso. Per quanto mi riguarda mi sembra che non ci sia nulla che debba dire che non possa dire all’interno del mondo di Avatar. Posso produrre altri progetti parallelamente ma per quanto riguarda la regia la mia è li che mi focalizzo. E nella fattispecie consegnare la mia bambina a Robert (Rodriguez, ndr.) è stata una decisione facile. Lui dichiara molto modestamente di aver girato un film di Cameron, ma la verità è che è un film firmato Rodriguez.

Gli Avatar a che punto sono?

Abbiamo completato la “performance capture” sul 2 e 3 e parte del 4 e a maggio inizieremo le riprese delle sequenze fotografiche in Nuova Zelanda. Dureranno quattro mesi anche se in definitiva rappresenteranno una parte relativament minore dei film. Il passo successivo sarà l’integrazione dei personaggi fotografati nelle sequenze CG (computer grafica, ndr.). In pratica il processo inverso di quello di alita in cui solo alcuni personaggi CG sono stati inseriti nelle sequenze di “live action.”

A che punto siamo attualmente nel perfezionamento dei personaggi ibridi e di sintesi ?

Credo che l’ultimo ostacolo rimasto sia la riproduzione dell’umano. I personaggi di Avatar non sono umani quindi c’è sempre una misura di tolleranza dato che il loro aspetto è inventato. Ma i progressi recenti ci hanno ormai portato alla soglia della riproduzione umana. Alita dimostra che siamo praticamente arrivati alla meta, anche se nel suo caso non sembrerà mai del tutto umana perché non è questa l’intenzione. L’idea è stata di mantenere il look dei disegni originali di Yukito Kishiro. Lui l’ha creata con questi occhi enormi e una bocca molto piccola e una faccia a forma di cuore. Alla fine il personaggio come appare nel film è una via di mezzo fra il suo disegno ed il volto della nostra attrice Rosa Salazar, un compromesso

Insomma si va verso un cinema (anche) post umano? Dove saremo fra dieci anni?

Da 15 anni ormai lavoriamo strettamente con WETA (la società di effetti neozelandese di Peter Jackson e Joe Letteri, ndr.) ed Alita è stato un progetto che ha migliorato molto la loro capacità di riprodurre sinteticamente l’emotività umana, un discorso che porteranno avanti nei prossimi Avatar. Come film maker il nostro mestiere è di progredire sempre. Poi non so dire se fra dieci anni questo tipo di cinema sarà nelle sale solo per pochi appassionati o se sapremo ancora attrarre un grande pubblico. È da quando ho iniziato negli anni ‘80 che tutti profetizzano la morte del cinema. Prima lo doveva uccidere la TV, poi il VHS e i dischi laser, ogni progresso tecnologico equivaleva ad un nuovo necrologio. Eppure eccoci ancora qua dopo un anno di ottime presenze.

Sempre fantascienza?

Amo la fantascienza da quando sono un ragazzo, per me è immaginazione – immaginazione visiva. I film che mi sono piaciuti sin dall’inizio sono stati quelli che parlavano di spazio e di robot e qualunque cosa animata da Ray Harryhausen. E non sono più cambiato. Vero, occasionalmente ho fatto film come True Lies o Titanic ma la fanstascienza per me rimane iI centro gravitazionale. Così oggi oltre ad Avatar lavoro ad un reboot di Terminator che potrebbe dare inizio ad un nuovo ciclo di tre film se il primo funzionerà. Tutto dipende da quello certo, anche per Alita, abbiamo pronti altri due film, sempre che il primo riesca a guadagnare dei soldi. E lo stesso per Avatar sono state approvate quattro sequel, ma in definitiva sarà il mercato a determinare se verranno completati.

Fra le altre cose lei è stato fra i primi a puntare il dito sui rischi della Intelligenza artificiale….

Questo film non si addentra molto nella questione dell’intelligenza artificiale. I nostri cyborg hanno cervelli umani organici all’interno di corpi meccanici. E credo che questo sarà sempre più comune, dapprima con protesi sempre più sofisticate fin quando alla fine non riusciremo a trasmetter impulsi dal sistema nervoso o dal cervello direttamente a corpi meccanici. E la robotica sta facendo balzi da gigante, le creature della Boston Dynamics ad esempio sono impressionanti: hanno un ghepardo che corre a 50 kmh, robot che salgono le scale, che camminano nella neve…di tutto. Non è nemmeno più necessaria tanta immaginazione. È solo questione di tempo prima che la gente cominci adottare migliorie “volontarie.” Credo però che la questione più grande sia ovviamente l’intelligenza artificiale e la potenziale minaccia dell’ emergenza di una super-intelligenza artificiale. Personalmente ritengo che questo sia già avvenuto. Il mondo non ha più alcun senso a meno di non considerare che vi sia un entità da qualche parte che sta controllando tutto. Sarò paranoico ma se fosse davvero una macchina non farebbe certo mai l’errore di farcelo capire. Ad ogni modo gli esperti in materia credono che, diciamo nei prossimi 50 anni, sia inevitabile un intelligenza meccanica all’altezza di quella umana, e forse entro dieci anni. Specificamente l’idea di Alita è che ci stiamo fondendo con la nostra tecnologia, la tecnologia, come quei telefoni che avete in tasca, sono ormai una manifestazione della nostra coscienza e viviamo già in modo profondamente diverso da quello di appena dieci anni fa. Il nostro essere sociale continuerà ad evolversi di pari passo con lo sviluppo tecnologico.

Siamo destinati a soccombere alla nostra tecnoolgia?

Credo che avremmo potuto porre questa stessa domanda anche durante la prima rivoluzione industriale. In un certo senso potremmo dire che ogni successive rivoluzione contribuisce a renderci meno felici. Quale sarà il futuro? Per questo esiste la fantascienza! Quasi ogni progresso tecnologico contiene un lato oscuro. L’energia nucleare doveva essere la promessa di energia a basso costo per il mondo e la prima cosa che abbiamo fatto è stato distruggere due città in Giappone. Il nostro rapporto con la tecnologia è come sempre inquietante. Attualmente sembra che siamo pronti a rinunciare ad ogni traccia di privacy e consegnare le chiavi delle nostre vite ad uno stato tecno-totalitario per la sola convenienza di poter ordinare più facilmente una pizza (ride). Come autore di fantascienza posso facilmente immaginare venti scenari in cui sprofondiamo nell’abisso. È più difficile piuttosto immaginare il contrario, perché per non sprofondare occorre lavorare tutti assieme, attraverso confini e frontiere nazionali. E stiamo facendo l’esatto opposto, costruendo muri e scatenando la crudeltà. E più avanziamo su questa strada, con tutta la nostra tecnologia, più ci allontaniamo dalla cosa giusta. A me le distopie piacciono – sono perfette per una sceneggiatura. Ma viverci dentro non è il massimo, quindi ci conviene darci una regolata. Siamo bravissimi a creare tecnologie ma molto meno nell’applicarle. E francamente faremmo meglio ad eleggere meno deficienti. Ma questo è un altro discorso.

 

La rete wi-fi negli uffici della sua società di produczione si chiama Skynet

E sulla propria collocazione all’interno cosmologia fantascientifica ha le idee molto chiare: “Senza Jules Verne e H. G. Wells,” afferma, non ci sarebbero stati Ray Bradbury o Robert A. Heinlein, e senza di loro non ci saremmo Lucas, SpielbergRidley Scott o io.”