Da domani,a Roma presso la Fao, pre-vertice Onu sulla crisi alimentare mondiale: la pandemia ha aumentato il numero degli affamati. Ma il summit , «all’ombra» di Ogm e agricoltura industriale, nasconde i nodi reali. E i movimenti protestano

Quando il Segretario Generale delle Nazioni Unite annunciò alla plenaria del Comitato sulla Sicurezza Alimentare alla FAO il proposito di organizzare un summit di alto livello dell’ONU sui sistemi alimentari, la notizia fu accolta con sorpresa, ma anche con molto interesse. Era il 16 ottobre 2019, giornata mondiale dell’alimentazione. Covid-19 non lo conosceva ancora nessuno, ma l’emergenza della fame nel mondo – in costante aumento dal 2014 – era un fenomeno che già metteva a dura prova l’obiettivo «fame zero» della Agenda dello sviluppo sostenibile. L’arrivo del nuovo coronavirus ha solo accelerato la crisi, tanto che l’impennata della fame planetaria può essere a ragione definita la seconda pandemia del Covid-19. L’ultimo rapporto SOFI 2021 sullo stato della sicurezza alimentare e nutrizione lo rileva senza sconti: quasi una persona su tre non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata nel 2020 – un incremento di 320 milioni di persone affamate in un solo anno, da 2,05 a 2,37 miliardi.

I SISTEMI ALIMENTARI della globalizzazione, dominati dalle grandi multinazionali e dalle corporation del cibo, non hanno assolutamente garantito la sicurezza alimentare nel mondo, e anzi definiscono gli estremi di un fallimento sistemico. Non più tardi del 2019 la Commissione Lancet sul Doppio Carico della Malnutrizione descriveva l’attuale stato del cibo e dei sistemi agricoli una «triplice crisi», nella quale sottoalimentazione, obesità e cambiamenti climatici fanno strame della salute umana e planetaria.

I SISTEMI AGRICOLI industriali sono uno degli agenti più impattanti sugli ecosistemi; il rapporto dell’IPCC 2019 stima che contribuiscano al 37% delle emissioni di CO2. Veniamo da decenni di «rivoluzione verde», a base di fertilizzanti e di nuove verità ibride in grado di incrementare considerevolmente la produzione, ma questo modello tecnologico, oltre a non salvare il mondo dalla fame, ha brutalmente interrotto l’interazione evolutiva tra attività umana e natura.

LA RIVOLUZIONE VERDE ha aperto un mercato immenso alle operazioni delle grandi imprese, trasformando il cibo in un prodotto di consumo che è soggetto alle logiche di mercato e spesso a feroci speculazioni finanziarie. La strategia della rivoluzione verde insomma è stata un disastro tanto ecologico quanto economico e oggi, a causa di questa specie di colonizzazione agricola su scala globale, un numero crescente di persone non ha più accesso a una dieta autodeterminata. Si registra ovunque un impoverimento delle risorse naturali (le varietà ibride consumano più acqua), una distruzione dei suoli a causa dell’uso crescente di fertilizzanti chimici e pesticidi, una perdita considerevole di biodiversità, un incremento di patologie alimentari legato a doppio filo alle politiche commerciali delle aziende.

I PAESI RICCHI dal canto loro hanno inaugurato lo spreco del cibo come prassi, a causa di una iper-produzione scellerata e insostenibile. Disfunzioni strutturali che sono esplose durante la pandemia.
Ma il vertice dell’ONU sui Sistemi Alimentari convocato dal Segretario Generale e previsto a New York a settembre, non attacca nessuna di queste questioni.

ANZI: L’EVENTO, che avrà a Roma una sua anticipazione tra il 26 e il 28 luglio, si è tirato addosso un’ondata di critiche da parte di tutte le comunità di pratiche e saperi riunite nel Comitato sulla Sicurezza Alimentare, il più inclusivo organo sulla politica del cibo creato in seno alla FAO nel 2009. Posizioni critiche sono giunte anche dall’attuale Rapporteur speciale dell’ONU sul diritto al cibo Michael Fakhri e dal suo predecessore Oliver De Schutter, nonché da rappresentanti del mondo politico e scientifico direttamente coinvolti nella preparazione del Vertice, alcuni dei quali hanno denunciato in itinere le inedite opacità di governance del processo.

L’apertura dei lavori deve vedersela oggi con oltre un migliaio di organizzazioni dei produttori di piccola scala, della società civile, dei movimenti di agricoltori, allevatori e pescatori, delle comunità dei popoli indigeni che si riuniranno in eventi virtuali e fisici in tutto il mondo, dal 25 al 28 luglio, per manifestare il loro totale e competente dissenso. È’ la prima volta che avviene una rottura del genere, nella agenda molto regolamentata del cibo: un indizio da prendere in serissima considerazione.

IL SEGNALE EMBLEMATICO della distorsione della governance che questo summit interpreta e promuove, nel segno del protagonismo indiscusso del Forum Economico Mondiale (WEF) co-organizzatore dell’evento, è la designazione di Agnes Kalibata come inviata speciale del Segretario Generale dell’ONU. Kalibata presiede la Alliance for a Green Revolution for Africa (AGRA), un’iniziativa creata nel 2006 dalla Fondazione Rockefeller e dalla Fondazione Gates per «risolvere i problemi della fame in Africa» con la introduzione di monoculture, di produzione agricola per la esportazione e la immissione di nuove tecnologie e sistemi agricoli nel continente concepiti da Monsanto, Syngenta, Microsoft (partners di AGRA). La presenza di AGRA in Africa ridefinisce da anni la agenda in campo agricolo con la creazione di nuovi mercati, a scapito delle realtà contadine che hanno a cuore un sistema alimentare autoctono e sostenibile.

NON DEVE SORPRENDERE dunque se il vertice, oltre la astuta coltre semantica di una narrazione che insiste sulla agricoltura familiare, accenna ai popoli indigeni e financo ai diritti umani, proponga idee fallimentari e false soluzioni come sistemi volontari di sostenibilità aziendale, Ogm e biotecnologie, agricoltura rigenerativa e intensificazione sostenibile dell’agricoltura.
Proposte che non sono né sostenibili, né convenienti per i contadini e i produttori di piccola scala e i lavoratori del sistema alimentare, e non servono l’interesse pubblico e la salute pubblica. Il Vertice è un tentativo da parte dei grandi operatori economici di normalizzare e legittimare soluzioni tecnologiche che sono dannose per le persone, la sicurezza alimentare e gli ecosistemi. Questa volta, con la benedizione delle Nazioni Unite e la insipienza dei governi.