Da lassù vedono barche traballanti e persone in difficoltà. Quando va bene, salvataggi. Quando va male, cadaveri abbandonati o respingimenti in Libia. Speranze e tragedie sono disegnate sulla grande tavolozza blu del mar Mediterraneo. Lo battono alla ricerca di naufraghi e soluzioni che salvino loro la vita. Da quando il silenzio ha ammutolito le radio di bordo e le guardie costiere sono diventate quasi sorde alle richieste d’aiuto, a testimoniare ciò che accade tra le coste libiche e quelle europee sono rimasti soprattutto gli occhi che volano. Gli aerei civili impegnati in missioni di monitoraggio sono due: Moonbird e Seabird (che in questi giorni è in manutenzione). Entrambi fanno capo a Sea-Watch (S-w), al momento l’unica Ong presente nel Mediterraneo centrale con la Sea-Watch 4, affiancata dalla Louise Michel, la prima motovedetta civile che ha acceso i motori sabato scorso.

S-w è nata alla fine del 2014 dall’iniziativa di alcuni volontari che, scrivono sul sito, «hanno deciso di non stare più a guardare» migliaia di persone che annegano nel Mediterraneo. Da allora l’organizzazione è stata coinvolta in più di 35mila salvataggi. In Italia è diventata celebre per lo scontro tra l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e la capitana Carola Rackete. Ma i problemi non sono finiti col governo gialloverde. In queste ore la Sea-Watch 4 è in attesa dell’assegnazione di un porto sicuro con 201 naufraghi a bordo. La Sea-Watch 3, invece, è bloccata a Porto Empedocle dal 23 giugno scorso: prima per la quarantena seguita al salvataggio di 211 persone e poi per il fermo amministrativo derivato da un controllo. La guardia costiera ha ravvisato irregolarità tecniche e operative, tra queste la presenza di troppi giubbotti di salvataggio. «Un vergognoso tentativo politico di fermare i soccorsi, colpendo le Ong senza offrire alternative alla loro presenza», ha twittato S-w il 9 luglio.

Pochi giorni dopo la denuncia di «accanimento» si è spostata dal mare al cielo. «Si sono intensificati i controlli nei confronti dei nostri equipaggi aerei e velivoli, nonostante abbiamo ricevuto nell’ottobre 2019 una lettera dall’ente nazionale dell’aviazione che certifica la legalità delle nostre operazioni. Il modus operandi non è cambiato», ha dichiarato il 20 luglio la portavoce Giorgia Linardi da Lampedusa. La richiesta dei documenti con frequenza quotidiana o anche più volte al giorno, sospetta l’Ong, non è un caso, ma l’effetto di un ordine partito da Roma. Si temeva che proprio durante l’estate, con le partenze riprese in forze, gli aerei fossero costretti a terra. Non sarebbe stata la prima volta.

A maggio 2018 Malta allontanò Moonbird, che per quattro mesi rimase senza base. Da S-w fanno sapere che non c’erano fondamenti legali per quella decisione, presa piuttosto per le pressioni politiche italiane e del ministero guidato allora da Salvini. Oggi gli aerei partono da Lampedusa, ma per fare rifornimento devono salire fino a Pantelleria: 165 km più a nord, da percorrere andata e ritorno prima di ogni missione.

Moonbird e l’equipaggio, foto di Sea-Watch

«L’Unione Europea potrebbe facilmente organizzare una missione di salvataggio, così l’intervento degli attori privati sarebbe superfluo. Preferirei non trascorrere ore e ore a cercare di documentare ciò che accade in un Mediterraneo trasformato in un buco nero, vorrei dedicarmi ad altro nella vita», dice il pilota Manos Radisoglou. Greco-tedesco, 32 anni, lavora come controllore del traffico aereo nell’aeroporto di Francoforte, il più grande della Germania e il terzo a livello europeo. Ha una licenza privata da pilota. Dal 2013 ha accumulato 1.200 ore di volo, un terzo delle quali con Humanitarian Pilots Initiative.

Hpi è l’organizzazione che recluta i piloti, si occupa della manutenzione dei velivoli e degli aspetti tecnici delle missioni aeree sul Mediterraneo. Nata in Svizzera nel 2015, riunisce oggi oltre 20 volontari. Ha due progetti attivi: il già citato Moonbird e Lufttraum, che letteralmente significa «sogno aereo» e permette di volare a bambini e adulti affetti da malattie o disabilità. Hpi sta raccogliendo fondi per acquistare un nuovo mezzo in grado di muoversi al meglio in un ambiente operativo «drasticamente cambiato»: navi delle Ong bloccate, gommoni abbandonati a lungo, impossibilità di fare base a Malta e quindi problemi di rifornimento e percorso. Il nuovo aereo dovrebbe essere in grado, nelle situazioni più disperate, di lanciare zattere e giubbotti di salvataggio.

Fino all’anno scorso volava anche Colibrì, un Mcr-4s dell’organizzazione francese Pilots Volontaires (Pv). Ad agosto 2019 l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) ha ritirato il permesso di decollo. Successivi problemi di gestione hanno portato alla vendita del mezzo, che Pv vorrebbe rimpiazzare per riprendere le missioni.

Il 26 giugno scorso a Moonbird, un Cirrus Sr-22 attivo dal weekend di Pasqua 2017, si è aggiunto Seabird, un Beechcraft Baron 58 in grado di coprire distanze più lunghe. Le missioni costano rispettivamente 2.380 e 4.500 euro. Nel 2019 Moonbird ne ha svolte 105, per un totale di 657 ore di volo e 56 casi individuati (33 salvataggi e 23 respingimenti). Nel 2020, fino a giugno, i casi sono stati 43, ma la crescita è rapida. A luglio in 19 missioni sono state avvistate più di 1.344 persone, in una ventina di episodi. Due su tutti hanno fanno scalpore: il cadavere incastrato nei resti di un gommone, avvistato ben quattro volte e immortalato in una fotografia che graffia le coscienze; il cargo commerciale Talia che, dopo l’avviso ricevuto da Seabird, ha invertito immediatamente la rotta e salvato 52 naufraghi fatti sbarcare a Malta dopo giorni drammatici.

Moonbid in volo, foto di Sea-Watch

Sugli aerei salgono fino a quattro persone: un pilota (di Hpi); un coordinatore tattico, in gergo Taco (di Sea-Watch); una persona che scruta il mare per cercare le barche in difficoltà; un giornalista o un membro del media team interno. «Quando opero da terra sono capomissione: mi sveglio presto, controllo le onde davanti alle coste libiche, lo stato dell’aeroporto di Tripoli, vedo se Alarm Phone o altri hanno segnalato dei casi. Se salgo in aereo faccio da Taco: ho in carico l’operatività della missione e preparo gli schemi di ricerca, che seguono griglie orizzontali o verticali e sono divisi in due zone, a ovest di Tripoli e tra Tripoli e Misurata», racconta Marta Sarralde di S-w.

Il suo percorso ha tratti in comune con quello di migliaia di ragazze e ragazzi che nel 2015, quando i rifugiati siriani percorrevano in massa la rotta orientale, si riversarono lungo il cammino che univa le città turche al cuore tedesco dell’Europa. Secondo l’Unhcr quell’anno sulle coste elleniche arrivarono oltre 1 milione di profughi. «Dopo essere stata a Lesbo e Idomeni, nel 2016 iniziai a collaborare da volontaria con Open Arms, come infermiera e soccorritrice nel Mediterraneo centrale, sulle navi Astral e Golfo Azzurro. Nel 2019 andai a Lampedusa a volare. Sea-Watch cercava gente che avesse esperienza di Sar. Rimasi con loro», continua. È ritornata sull’isola da poco: nei primi mesi dell’emergenza Covid-19 ha lavorato in ospedale a Madrid.

Radisoglou e Sarralde raccontano dei difficili rapporti con le autorità: «inviamo le segnalazioni ma non rispondono, cerchiamo di capire se i casi sono chiusi ma non ci fanno sapere niente». Una situazione che è andata deteriorandosi a partire dal 2017, quando «erano le guardie costiere a chiamarci per gli avvistamenti». Il progressivo ritiro delle autorità dalle operazioni di salvataggio è la vera causa dell’intervento in mare delle organizzazioni umanitarie. Gli aerei civili, con la loro capacità di scrutare ampie distanze, coprono uno dei buchi neri più pericolosi: la fine delle richieste di intervento per le barche in distress che i centri di soccorso marittimo facevano alle navi umanitarie e commerciali. Nei cieli del Mediterraneo volteggiano anche i velivoli di Frontex ma, secondo le denunce diffuse dalle Ong, comunicano solo con la cosiddetta «guardia costiera libica». «A volte le persone vengono salvate, ed è una grande gioia – afferma Sarralde – Purtroppo, però, nella maggior parte dei casi assistiamo impotenti alle operazioni dei libici, che arrivano a bordo delle loro motovedette superveloci, intercettano i migranti e li riportano indietro. È frustrante sapere che questa è diventata la normalità».