Quando si tratta di far parlare di sé, il «lupo grigio» perde il pelo ma non il vizio. Nell’anniversario della visita di Giovanni Paolo II al suo attentatore nel carcere di Rebibbia (27 dicembre 1983), l’arrivo in piazza San Pietro di Mehmet Ali Agca ha destato sorpresa e curiosità.
L’ex terrorista turco, che nel maggio 1981 attentò alla vita del papa proprio di fronte alla Basilica petrina, si è recato prima alla sede dell’agenzia di stampa Aki-Adnkronos International a Roma (senza dichiarare la propria identità) e poi si è fatto accompagnare in San Pietro dove ha depositato due mazzi di rose bianche sulla tomba di papa Wojtyla, nella cappella di San Sebastiano, sotto lo sguardo delle telecamere della suddetta agenzia. La visita è stata confermata dal portavoce della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Agca ha rilasciato alcune affermazioni consone al suo stile: «Sono ritornato nel luogo del miracolo. Qua fu compiuto il terzo segreto di Fatima. Io con l’attentato al Papa ho compiuto un miracolo». E ancora: «Sono venuto, dopo 34 anni, per gridare che siamo alla fine del mondo. La Madonna di Fatima ha annunciato la fine del mondo». Prima di essere fermato dalla polizia (e poi in serata espulso), ha espresso la richiesta di incontrare papa Francesco, un desiderio che aveva maturato durante il recente viaggio di Bergoglio in Turchia e al quale Lombardi ha replicato con un secco diniego: «Ha messo i fiori. Penso che basti così».
Non è certo la prima volta, del resto, che l’ex militante dell’organizzazione di estrema destra turca dei «lupi grigi» richiama l’attenzione dei media e cerca di mettere in difficoltà il Vaticano. Poche settimane fa era intervenuto in un’intervista all’Ansa sulla nota vicenda di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana sparita in circostanze misteriose all’età di 15 anni. In quell’occasione, dopo essere tornato a parlare per l’ennesima volta del suo attentato, nella ultima versione a suo dire commissionatogli direttamente dall’Ayatollah Khomeini, aveva esternato la convinzione che la donna fosse ancora viva, forse in qualche convento, e che le autorità vaticane celassero la notizia. Nella medesima intervista all’agenzia di stampa aveva annunciato il suo proposito di recarsi a rendere omaggio alla tomba di Wojtyla.
Ma come è stato possibile per Agca realizzare questo intento? Piero Spinucci, il giornalista di Adnkronos presente sul posto, riferisce che la visita era tutt’altro che attesa, come dimostrerebbero, del resto, i lunghi controlli. Sembrano quindi di scarso fondamento le ipotesi circa un permesso speciale rilasciato dal Vaticano e un presunto accordo con le forze di polizia italiane. Al di là delle discussioni sulla sicurezza del papa, quel che è certo è che la presenza dell’attentatore sul luogo del delitto ha contribuito a riaccendere i riflettori su una vicenda dai risvolti ancora oscuri. La verità giudiziaria ha condannato Agca come responsabile di un gesto criminale «preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra». Ancora dopo aver ottenuto la grazia dal presidente Ciampi e l’estradizione in Turchia, dove ha scontato altri dieci anni di carcere per l’assassinio del giornalista Abdi Ipekci, l’ex lupo grigio ha continuato a modificare la propria versione dei fatti: dalla «pista bulgara» all’ordine dell’Ayatollah.
Per quanto riguarda i risvolti dell’attentato nella vita della Chiesa, il gesto di Agca è stato assorbito da Giovanni Paolo II in una visione provvidenzialistica che collega la terza parte del segreto di Fatima alla pallottola contro il «il vescovo vestito di bianco». Wojtyla volle che il proiettile fosse incastonato nella corona della statua della Vergine a Fatima.
Pur avendo rimarcato in più occasioni la sua attenzione alla devozione popolare, da questo modello di cattolicesimo Francesco sembra comunque avere già preso le distanze.