Diciannove personalità di primo piano del mondo politico algerino hanno preso carta e penna ed espresso pubblicamente i loro forti dubbi rispetto alle capacità di governo del presidente Bouteflika.

L’antefatto della lettera, che è stata resa pubblica solo alcuni giorni fa, è il grave ictus che ha colpito Bouteflika nella primavera del 2013, quando il presidente dopo quasi tre mesi trascorsi in Francia per le cure rientrò ad Algeri su una sedia a rotelle. Nonostante questo, l’ex ministro degli Esteri, è stato rieletto nel 2014 per il quarto mandato consecutivo. In tale occasione, così come nei mesi che sarebbero seguiti, le opposizioni sollevarono dubbi e perplessità rispetto alle facoltà fisiche e soprattutto mentali di Bouteflika. La tragedia sembrerebbe trasformarsi in farsa, se non fosse per due elementi che inducono alla prudenza. Per prima cosa, se escludiamo Louisa Hanoune, segretaria generale del Partito dei lavoratori, di ispirazione trotzkista, gli altri 18 firmatari sono esponenti della sua cerchia di fedelissimi.

L’intera vicenda spingerebbe a interpretare il gesto come una manovra difensiva nei confronti del presidente, volta a proteggere la sua precaria posizione coinvolgendo direttamente il paese, proprio in una fase nella quale il «rumore di sciabole» ha raggiunto nuove vette. Oltre alla analogie con quanto avvenne in Tunisia nel 1987, con il presidente Bourguiba defenestrato da «un colpo di stato medico-legale», secondo importante fattore da considerare è stato il licenziamento, avvenuto a inizio settembre, del potentissimo capo dell’Intelligence algerina, Mohamed Mediene, detto Toufik. Addestrato negli anni Sessanta dal Kgb, noto con il soprannome «dio d’Algeria», è rimasto per oltre 25 anni a capo di uno dei servizi segreti più potenti e influenti al mondo. La sua uscita di scena ha smascherato il congiunto e riuscito attacco del capo di stato maggiore, Ahmed Gaid Salah, acerrimo nemico di Mediene dal lontano 2004 quando il suo predecessore, Mohamed Lamari, era stato estromesso proprio da un accordo stretto tra Toufik e Bouteflika, e da Athmane Tartag, detto Bachir, ex numero due dell’intelligence algerina.

La sostituzione di Mediene, preparata da mesi con la graduale estromissione di numerosi suoi fedelissimi, rientra quindi in quella spesso invisibile e violenta lotta tra clan per il controllo del potere che ha caratterizzato l’Algeria sin dall’indipendenza.

Tutto questo si inserisce in una dinamica macro-economica di grande difficoltà. Pur accettando pesantissimi passivi di bilancio, il governo algerino è stato costretto a tagliare la spesa pubblica e a ridurre drasticamente i sussidi anche sui beni di prima necessità. Questo, data anche la limitatissima legittimità politica del regime e il crescente malessere della popolazione, è stato bilanciato da un ricorso sempre più massiccio alla repressione per prevenire esplosioni sociali.

Il restringimento degli spazi di agibilità politica per le opposizioni colpisce anche il lavoro di alcuni giornalisti indipendenti. La scorsa settimana è stato arrestato, Hassan Bouras, membro della Lega algerina per la difesa dei diritti dell’uomo e attivista contro l’utilizzo delle tecniche di fracking per l’estrazione di petrolio e gas di scisto nel Sud del paese. Insomma, l’Algeria sembra un vulcano sul costante punto di esplodere.