Per il terzo venerdì consecutivo le autorità algerine hanno impedito lo svolgimento della settimanale manifestazione di protesta del movimento Hirak, che portò alla caduta dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2019.

«PIÙ DI 2MILA MANIFESTANTI sono stati arrestati, di cui oltre 180 sono in detenzione, in queste tre settimane dall’ingresso della nuova legge del ministero dell’interno» – ha riferito Saïd Salhi, vicepresidente della Lega algerina per la difesa dei diritti umani (Laddh), descrivendo una situazione «allarmante sul progressivo livello di repressione della protesta».

Il riferimento è legato al tentativo da parte del governo centrale di vietare e riprendere il controllo delle manifestazioni di piazza dei manifestanti con la presentazione di una nuova legge, adottata ad inizio mese dal ministero dell’interno, che prevede «la richiesta preventiva per l’autorizzazione di nuove manifestazioni con l’indicazione di inizio e fine corteo, del tragitto e degli slogan utilizzati». Tutti gli attivisti e giornalisti fermati e arrestati in queste settimane hanno gli stessi capi di accusa: «indebolimento dell’unità nazionale», «istigazione a riunioni disarmate» e, dopo il divieto di raduni non autorizzati, «mancato rispetto delle misure amministrative».

UNA REPRESSIONE, imposta in queste settimane da un imponente apparato di polizia, che ha colpito in maniera indiscriminata noti attivisti del movimento – come Slimane Hamitouche – oppositori politici, difensori dei diritti umani e giornalisti. Il più recente caso riguarda Kenza Khatto, giornalista politica dell’emittente Radio M, arrestata lo scorso 14 maggio mentre documentava le violente cariche della polizia contro gli attivisti che tentavano di manifestare ad Algeri.

UN DURO INASPRIMENTO del livello di controllo legato anche dall’avvio, la settimana scorsa della campagna elettorale, e dal tentativo del presidente Abdelmajid Tebboune di limitare qualsiasi manifestazione di dissenso. Un chiaro segnale della volontà del governo di escludere qualsiasi contestazione durante la campagna elettorale confermato dalle dichiarazioni del capo di stato maggiore, il generale Saïld Chengriha, che ha messo in guardia chiunque dal «tentativo di minare l’unità nazionale preservando il calendario elettorale previsto».

Una campagna elettorale molto complessa e non accettata all’unanimità dalle forze politiche algerine, visto che tutti i partiti di opposizione laici o di sinistra e l’Hirak contestano quelle che considerano «una nuova mascherata del regime».

COME CONFERMATO in questi giorni dall’autorità nazionale indipendente per le elezioni (Anie) sono circa 1500 le liste accettate e legate, principalmente, ai partiti pro-potere all’epoca di Bouteflika come il Fronte di Liberazione Nazionale (Fnl) e il Raggruppamento Nazionale Democratico (Rnd), con alcune eccezioni di candidati indipendenti. Le formazioni islamiste, si presentano con una coalizione che raduna tutte le principali correnti come il Fronte per la giustizia e lo sviluppo (Fjd) di Abdallah Djaballah o il Movimento per la Società e la Pace (Msp) di Abderazzak Makri.

IL FRONTE ISLAMISTA di Makri, che tenta di approfittare del boicottaggio delle formazioni politiche progressiste e del netto calo di consensi nei confronti dei partiti dell’epoca Bouteflika, ha già fatto sapere di essere pronto «a governare una nuova Algeria in caso di vittoria». «Gli arresti di queste settimane confermano, nonostante il fallimento delle presidenziali del 2019 e il referendum costituzionale del 2020 segnati da un’astensione record – afferma Salhi – la determinazione del regime di applicare la sua strategia elettorale, senza tener conto delle richieste del popolo algerino per una transizione democratica, partecipata e una giustizia indipendente».