«Le unioni civili non fanno parte del programma di governo: c’è il rischio che la palla di neve diventi una slavina». È il cuore del problema nel rapporto tra il Nuovo centrodestra e il Pd. Angelino Alfano lo affronta con un’allusione minacciosa. Cosa sarebbe la «slavina» che il ministro dell’interno cerca di provocare intervistato dal Tg3 della sera? La crisi di governo, che notoriamente schiaccerebbe innanzitutto il piccolo Ncd e dunque Alfano è il primo a temere. Nel frattempo sta perdendo pezzi del partito. Per questo attacca.

Le unioni civili sono il cuore del problema. In calendario a fine mese al senato, Renzi vuole provare a farle diventare legge entro le amministrative perché anche lui sa che l’argomento è assai popolare presso gli elettori del Pd, e presso quanti potrebbero essere tentati di votare alla sua sinistra. Per approvarle al senato il presidente del Consiglio avrà bisogno però dei voti dei grillini e dei vendoliani, a meno che non voglia annacquare la legge come proposto da una ventina di senatori cattolici del suo partito (affido rafforzato in luogo della stepchild adoption).
Le distanze restano. «Siamo per rafforzare diritti patrimoniali di persone, anche dello stesso sesso, che si uniscono nel vincolo. Questa cosa non si può tramutare in una piena equiparazione al matrimonio. E quindi noi diciamo no a equiparazione e adozioni», ripete per l’ennesima volta Alfano, cha ha gia ottenuto una modifica nella definizione stessa di unioni civili, trasformate in inedite «formazioni sociali specifiche». In teoria, perseguendo la rottura con i centristi, Renzi potrebbe rischiare qualcosa nel prossimo passaggio sempre al senato della riforma costituzionale, visto che alla seconda lettura è prescritto obbligatoriamente il sì della maggioranza assoluta. In pratica il Nuovo centrodestra non potrà mai sgambettare il presidente del Consiglio sulla riforma alla quale Renzi ha legato il suo destino politico e la sua permanenza a palazzo Chigi, qualsiasi cosa accada.

La modifica della Costituzione è inserita da Alfano in un lungo elenco di provvedimenti «di centrodestra» che il governo ha portato a casa, riepilogati ieri in una lettera del ministro a Repubblica quasi a coprire preventivamente una sconfitta sulle unioni civili. L’elenco è in effetti lungo, si va dall’abolizione della tassa sulla prima casa all’innalzamento del limite per l’utilizzo del contante, dalla cancellazione dell’articolo 18 alla responsabilità civile dei magistrati. I problemi a questo punto per il Nuovo centrodestra arrivano dalle città che tra pochi mesi andranno al voto. Alfano si è stancato presto di assistere ai ripetuti richiami da parte dei dirigenti del Pd alla sinistra perché si riformino le alleanze di centrosinistra nella amministrazioni. Magari non gli è sfuggito il carattere strumentale degli appelli, ma ha deciso di non incassare in silenzio. E per parlare a Renzi si è rivolto direttamente alla sinistra del Pd, invitandola alla scissione: «Se alla minoranza del Pd questo governo non va bene, faccia le proprie scelte».
Ad Alfano hanno replicato rapidi un po’ di esponenti della minoranza interna. Gotor: «Nulla prova meglio di questi scomposti attacchi che senza la sinistra del Pd, il cosiddetto Partito della nazione con i rottamati del berlusconismo sarebbe cosa fatta». Cuperlo: «Per lui la soluzione migliore sarebbe una spaccatura del Pd con la sinistra che se ne va e la nascita del partito della nazione». E Fornaro: ««È Ncd che deve decidere: una parte del partito guarda a un ritorno nel campo del centrodestra e una parte a Renzi più che Alfano come suo punto di riferimento». E così i neocentristi hanno trovato un po’ di unità nella replica alle repliche: «È evidente che ormai nel Pd esistono due realtà – ha detto Renato Schifani – un partito nel partito, uno che guarda alle riforme e un altro che lavora per frenare l’azione del governo».