Il giorno dopo le barricate al Viminale si guarda ai fatti di Goro con il timore che possano diventare un pericoloso precedente. Sia per quanti pensano che basta organizzare una protesta per respingere persone che hanno bisogno di essere assistite e non cacciate. Ma anche per quei prefetti che possono essere tentati di cedere alle chiazzate della piazza. «Non sarà così», promette Alfano. «Sono state circostanze specifiche ad aver determinato la scelta» di trasferire le 12 donne provenienti dall’Africa e i loro otto bambini in centri diversi da quello prescelto. Una decisione che adesso rischia di pagare il prefetto di Ferrara Michele Tortora il cui trasferimento potrebbe essere deciso già con il prossimo consiglio dei ministri.

A Goro intanto, dopo aver festeggiato la «vittoria» contro un gruppetto di ragazze impaurite, gli abitanti provano a scrollarsi di dosso l’etichetta di razzisti. «Non siamo né razzisti né fascisti, ma non vogliamo che lo Stato ci imponga le decisioni dall’alto», prova a giustificarsi il sindaco, Diego Viviani. Le stesse persone che lunedì notte hanno bloccato le strade con barricate di pallet e bancali, adesso sono riunite nell’ostello «Amore-Natura» che avrebbe dovuto ospitare le dodici profughe e si dicono offese per essere state additate come un esempio da non seguire. In particolare a nessuno sono piaciute le parole del ministro degli Interni quando, pensando a quanto hanno fatto, martedì ha detto che «quella di Goro non è Italia». «Alfano chieda scusa», insistono.

La linea difensiva prescelta è quella di non essere stati avvisati dell’arrivo del piccolo gruppo di profughe. Altrimenti le cose sarebbero andate in maniera diversa? Viviani prova a convincere i cronisti. «Le barricate sono state una reazione di istinto a fatti improvvisi che non si capiscono», dice. «Ora tiriamo una riga su quanto è successo. Ci incontreremo e valuteremo insieme che decisioni prendere perché Goro possa farsi carico dell’accoglienza ai profughi».

In futuro, forse. Nel presente chi avrebbe dovuto godere di quell’accoglienza sono dodici donne giovanissime che alle spalle si sono lasciate non solo miseria, ma anche la violenza della guerra e la follia omicida di Boko Haram. Che hanno attraversato la Libia e il Mediterraneo per essere scacciate dai pescatori di vongole di Goro. Come Fatih, 20 anni, che arriva da un villaggio della Nigeria del Nord dominata da Boko Haram. «Quando abbiamo visto la gente di Goro per strada che non voleva farci passare, in quel momento siamo diventate davvero tristi, ci siamo sentite respinte», racconta. Senza però provare rancore nei confronti di chi l’ha respinta. «Sono sicura che se sapessero da cosa stiamo scappando certamente avrebbero reagito in maniera diversa».