Giugno fu il mese della battaglia di Marengo. Vittoria napoleonica con una scia di morti, proprio alle porte di Alessandria. Duecentotredici anni dopo, stesso mese, vicino al grande platano che la leggenda vuole piantato dal generale, ieri si sono ritrovati lavoratori e sindacati – Cgil, Cisl e Uil – per lo sciopero generale contro il piano complessivo del Comune sulla riorganizzazione delle partecipate, che prevede 188 esuberi. Sono scesi in strada senza rivalse bonapartiste, ma a strenua difesa di una città che «non deve morire». Hanno scelto un luogo insolito per una manifestazione, ma simbolico, visto che ne rappresenta la porta d’ingresso.

Hanno partecipato in settecento, prima in presidio e poi in corteo verso Palazzo Rosso, la sede del comune. «È andata bene rispetto a una condizione di estrema difficoltà che vive questa città impaurita e arrabbiata. Ribolle. C’è una responsabilità politica nel non volerla vedere», commenta Silvana Tiberti, segreteria Cgil. Meno gente che allo sciopero di marzo, ma con una saldatura inedita tra lavoratori del pubblico e del privato, le fabbriche in crisi. «Perdere il lavoro qui – spiega la segreteria della Camera del lavoro – è peggio che altrove, perché le tasse, a causa del dissesto, sono al massimo. Una volta che i tagli richiesti da Roma, 27 milioni in un anno su un bilancio di 93, diventeranno realtà sarà uno choc economico per tutti, non solo per i dipendenti delle partecipate che ci rimetteranno il posto, più dei 188 citati. Chi ha i soldi se ne sta andando via».

Fondazione Tra, Aspal, Costruire insieme, Atm, Amiu sono le sigle delle partecipate. La prima è quella dei dipendenti del teatro alessandrino, già in cassa integrazione in deroga – e in scadenza. La seconda indica un’azienda liquidata: a casa in 68. Poi, vengono le 65 precarie dei nidi (e le cuoche) a scadenza e in esubero. Per cinquanta dell’azienda di trasporto pubblico si parla di contratti di solidarietà. L’ultima sigla si riferisce all’ente che gestisce i rifiuti, i lavoratori dovrebbero essere trasferiti ad Aral, ma non hanno nessuna garanzia scritta. «Il risanamento di una città non si può basare sui licenziamenti» lamenta Virginia Bonino, educatrice nei nidi, Operatrici che non si arrendono. «Arrivati a Palazzo Rosso – racconta Stefano Bianco, animatore di Aspal – abbiamo trovati i cancelli chiusi, volevamo entrare per parlare con qualcuno e appendere lo striscione «Alessandria non deve morire». Siamo stati bloccati dalla polizia. Succedeva con l’ex sindaco Fabbio, è la prima volta che capita con l’amministrazione di centrosinistra, che ha chiuso la strada al dialogo».

I sindacati criticano il sindaco Rita Rossa (Pd): «Doveva guidare una ribellione civile per chiedere aiuti al governo, si è rassegnata alla politica dei tagli. Alessandria è la prima città del nord destinata a morire, a causa del dissesto e di una legge che stritola le comunità». Attaccano l’assessore al bilancio , Matteo Ferrais, che ha detto «Alessandria è pronta a diventare un caso pilota, una cavia». I lavoratori cavie non vogliono esserlo. La situazione è calda, ogni settimana c’è una protesta sotto il Comune, dalla tenda delle partecipate all’occupazione del consiglio dei sindacati di base. Il sindaco domani sarà a Palazzo Chigi per il tavolo interministeriale sul caso Alessandria. Ha chiesto unità, ma a Roma non ci saranno i sindacati. «Si salva Napoli, il Maggio Fiorentino ma – conclude Tiberti – di Alessandria non si parla. Lo Stato non può abbandonare la nostra città e l’amministrazione non può pensare di salvare se stessa se non salva Alessandria».