Corridoio umanitario e amnistia: la doppia proposta russo-siriana piovuta ieri su Aleppo è lo specchio del controllo che i due alleati si sono garantiti nelle ultime settimane. Un periodo nero per una città già massacrata dalla guerra civile e divisa tra governo e opposizioni (con l’Isis alla porta orientale a soffiare sul fuoco): i raid russi hanno permesso all’esercito di tagliare anche l’ultima via di rifornimento ai “ribelli”, provocando un altissimo numero di vittime, quasi 60 civili solo tra lunedì e martedì.

L’emergenza umanitaria è ormai cronica, la gente sta letteralmente morendo di fame quando non perisce delle bombe di Damasco o dei missili delle opposizioni. Per questo ieri Mosca ha annunciato il lancio di una «operazione umanitaria di larga scala», tre corridoi umanitari per permettere ai civili di lasciare i quartieri nel mirino e avere accesso a cibo e medicine.

Secondo i volantini caduti sulla città, il governatorato di Aleppo chiede alla gente di avvicinarsi ai checkpoint militari con le braccia alzate, girare su se stessi per mostrare di non avere esplosivo addosso e seguire le indicazioni dei soldati. Ad aspettarli centri attrezzati con equipaggiamento medico.

Quei corridoi non saranno però destinati solo ai civili: un quarto è stato aperto a nord per i miliziani, fa sapere il ministro della Difesa russo Shoigu, che potranno usufruirne per «abbandonare le armi». Già ieri, secondo l’esercito siriano, oltre 25 ribelli hanno lasciato la città. Una proposta che si accompagna a quella di Damasco: amnistia per chi deciderà di appendere le armi al chiodo. «Chi è ricercato dalla giustizia è esonerato dalla punizione se si consegna e abbandona le armi», si legge nel decreto presidenziale della durata di tre mesi.

Il duplice annuncio ha un significato politico considerevole: oltre ad alleviare potenzialmente il dramma dei civili intrappolati nel conflitto (sebbene Amnesty si dica scettica: «I corridoi non eviteranno la catastrofe umanitaria»), mostra la sicurezza con cui Mosca e Damasco gestiscono l’attuale fase del conflitto. Con il negoziato che ristagna nonostante le promesse dell’Onu di riaprire Ginevra entro agosto e gli Usa che si sono piegati alla proposta russa di coordinare le operazioni anti-Isis, Putin e Assad si muovono unilateralmente.

Resta da vedere quando i corridoi saranno effettivamente attivi. Ieri si accavallavano versioni diverse: fonti riportavano di famiglie già in salvo, mentre altre agenzie di missili caduti sulle zone in cui dovrebbero essere aperti, impedendo ai civili di fuggire. Il governo accusa Ahrar al-Sham, milizia salafita alleata di al-Nusra ma legittima opposizione agli occhi dell’Occidente.

C’è da capire anche cosa faranno le opposizioni: ormai accerchiate, senza vie di rifornimento, quelle moderate sono già quasi insignificanti nella battaglia per Aleppo. Chi resiste sono gli islamisti. Sul destino di Aleppo e della Siria potrebbe quindi provocare degli effetti l’addio del Fronte al-Nusra ad al Qaeda.

La notizia è stata confermata ieri sia dal suo leader al-Jolani in un video ad al Jazeera, sia dallo stesso capo dell’organizzazione al-Zahawiri: il primo annuncia la scissione e la nascita della fazione Jabhat Fatah al Sham (Fronte della Conquista del Levante); il secondo in un audio di sei minuti dà la sua benedizione alla separazione, necessaria – dice – a salvaguardare l’unità islamica.

«La fratellanza dell’Islam che ci unisce è più forte di qualsiasi legame obsoleto tra organizzazioni – avrebbe detto al-Zahawiri – Questi legami vanno sacrificati senza esitazioni se minacciano l’unità».

Insomma, liberi tutti. Ovvero, luce verde ad al Nusra a ergersi a leader delle milizie islamiste attive in Siria. Quello pare essere l’obiettivo, insieme alla speranza di essere tolti dalla lista nera internazionale e quindi dal mirino dei jet russi: al Nusra punta ad attirare verso di sé i tanti gruppi islamisti anti-Assad, una galassia maggiormente strutturata delle attuali alleanze di comodo.