È stato il filosofo della città di Napoli. Nato ad Avellino il 12 aprile del 1923, Aldo Masullo si è spento l’altro ieri all’età di 97 anni. Il suo pensiero appassionato e la sua apertura comunicativa e dialogica, ha avvicinato e formato molteplici ricercatori e ricercatrici allo studio e all’amore per la filosofia. Più che un professore (che pure è stato pienamente per lunghi anni presso l’Università Federico II di Napoli prima insegnando Filosofia Teoretica e poi Filosofia Morale), è stato soprattutto un maître à penser. Attraverso il suo pensiero e il suo esempio, è stato un imprescindibile punto di riferimento per la vita di molte persone e di intere generazioni.

DI LUI SI PUÒ DIRE con assoluta certezza ciò che Socrate, nelle parole apologetiche di Platone, diceva a proposito di se stesso: era un dono del dio alla Città. Una città che amava profondamente nonostante tradimenti e bassezze cui, con la lucidità del suo pensiero critico e attento, non risparmiava di esprimere analisi acute e nette. La città di Napoli ama più apparire che essere, diceva. Sapeva che l’impegno di ciascuno/a di noi è quello di far venire fuori questo essere a partire dalla messa in discussione di quella separatezza tra classi, tra ceti ricchi e ceti poveri, tra potenti e umili, che è la cartina di tornasole di un malessere antico di cui si fatica ad andare alla radice. Le sue conferenze pubbliche erano sempre affollatissime, piene di persone diverse che affascinava con un linguaggio semplice, carico di senso e di una profondità che restituiva con la massima leggerezza. In ogni sua lezione c’era come un invito a partecipare in prima persona al viaggio nell’intimità pubblica del pensiero. Di fronte alla fuga di molti giovani in cerca di lavoro e di un futuro, era solito dire che se avesse avuto vent’anni, non solo non l’avrebbe mai lasciata, ma sarebbe rimasto a Napoli.

AVEVA CONSEGUITO due lauree, una in filosofia e un’altra in giurisprudenza. Dopo una breve esperienza come avvocato penalista, si dedicò anima e corpo allo studio della filosofia e alle maggiori correnti che animavano il dibattito dell’epoca: dall’esistenzialismo all’estetica, dal neoidealismo al materialismo critico, dallo sperimentalismo allo spiritualismo. Il richiamo pressante ad affrontare i problemi concreti della condizione umana, a sporgersi sul vincolo indissolubile tra pensiero e vita, così come la convinzione che il consapevole limite del filosofare è la sua insuperabile forza, lo fece approdare infine alla fenomenologia.

DURANTE UN SUO SOGGIORNO a Friburgo alla fine degli anni ’50 ebbe un contatto diretto con alcuni allievi di Husserl e aveva conosciuto il lavoro di Viktor Von Weizsacker, fisiologo e antropologo tedesco che aveva elaborato una sua originalissima e personalissima antropologia medica ispirandosi al pensiero di Sigmund Freud e di Max Scheler. Dalla lettura delle sue opere, Masullo si avventurò in una delle sue categorie filosofiche più pregnanti e cariche di futuro: «la paticità». Si mise ad esplorare con un rigore mai scisso dalla passione il versante opaco, inconscio e nascosto della coscienza. Dal sentir-si soggetti al sentir-ci comunità: il passaggio fondamentale su cui Masullo ritornerà costantemente, a volte anche sotterraneamente, in tutta la sua filosofia. Così come traspare sempre quella fiducia nella cura che gli esseri umani possono avere gli uni per gli altri. Se la conoscenza incontra i limiti, se il cammino per conoscere se stessi è arduo e faticoso, se sappiamo che è impossibile conoscere interamente gli altri nella loro complessità e interezza, nel loro vissuto, la cura può essere il modo per capire sentendo. È il senso inesprimibile dello stare accanto.

COSÌ, LA DIMENSIONE complessa del sentire umano, della passività è intrecciata inesorabilmente alla dimensione intersoggettiva. Ci sono ambiti che non possono essere varcati da approcci puramente cognitivi e che solo il sentire umano riesce a captare. Non è possibile tracciare tutta la storia della sua inquieta e proficua ricerca lungo l’asse della distinzione-connessione di calcolo e pensiero nell’unità intrinseca, non sommatoria, della vita vissuta. Non è da meno la sottolineatura che ha la dimensione del tempo nel vissuto umano che sente il tempo prima ancora di pensarlo.

È stato un rigoroso uomo di studi che non ha mai fatto mancare la sua autorevole parola sulle questioni politiche e civili. È stato amato da allievi e critici sia di sinistra che di destra. Ognuno/a a suo modo, gli ha sempre riconosciuto la sua autonomia e ineguagliabile indipendenza di pensiero di fronte ai poteri e ai potenti. Non è stato mai sedotto. Eppure ha ricoperto diversi e importanti ruoli istituzionali a vari livelli. Ci ha lasciato importanti lezioni sul patto di convivenza civile e politico che dovrebbe essere alla base di ciò che tiene in vita una comunità.

NEL CORSO DEL TEMPO ha più volte ricoperto prestigiosi incarichi istituzionali. È stato deputato, senatore per due legislature, deputato europeo e persino consigliere comunale di Napoli in piena crisi democratica nel 1990. Con la stessa passione e serietà ha partecipato a molti movimenti cittadini per la sua amata Napoli, come, per citarne solo uno, quello delle «Assise di Palazzo Marigliano».

Tra i suoi tanti insegnamenti c’è quello di non smettere mai di farsi e fare domande. Porsi e porre domande giuste su questioni giuste. Ha espresso la necessità del coraggio e della curiosità nella ricerca così come nella vita, per andare a fondo del pensiero e delle parole. Evitare le scorciatoie per non appiattirsi sul dilagante e banale conformismo imposto dalle mode di turno. L’esercizio del pensiero critico è l’unica possibilità che abbiamo per non ingannare noi stessi e gli altri sulle questioni che ci stanno più a cuore. Ci ha insegnato che il lavoro degli uomini e delle donne di pensiero è prezioso perché mette in comune per fare società. Eros, si legge nel Simposio, è la condizione in cui «ci si svuota di estraneità e ci si riempie di intimità». Nella comunità civile il destino di tutti è sentito da ciascuno/a come il proprio destino. In questo c’è l’essenza della polis. Di questa essenza civile Napoli deve vivere, ripensando se stessa nella sua storia fatta di tante sconfitte ma anche di quelle tante virtù che l’hanno resa una capitale europea.

NELL’ULTIMO COMMENTO inviato a Repubblica sulla pandemia che ancora ci sovrasta, ricordava che l’anima umana è come l’acqua in un fosso: se troppo a lungo rimane ferma, non rinnovata, comincia a imputridire. Concludeva invitandoci a smontare idealmente questo o quel pezzo della macchina sociale per ri-costruirlo, per ri-progettare quell’Italia che avrebbe dovuto essere e ancora non è. Come Socrate e l’imperatore Adriano, anche lui è entrato nella morte a occhi aperti. La città non potrà per ora avere neanche un funerale di questo suo venerabile maestro. Sappiamo però, anche grazie a lui, che ci sono forze ed energie che non ci faranno mai sparire. È così. Il suo pensiero non sparirà fino a quando penseremo che «nessuno di noi si salva da solo». Grazie maestro.