Visioni

Aldo Braibanti, scrivere come mestiere di vita

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Ricordo La morte, a 92 anni, di un intellettuale che è stato una «presenza» costante nella cultura italiana, del dopoguerra, eppure il suo lavoro è pressoché sconosciuto.

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 9 aprile 2014

Aldo Braibanti se n’è andato senza clamore, così come aveva vissuto per anni, con orgoglio e dignità, lontano dall’attenzione mediatica in una solitudine cercata e subita. Non voleva commemorazioni, necrologi, omaggi; soprattutto non voleva retorica.

Eppure, a caldo, la sua scomparsa rimbomba come un tuono, e per chi gli è stato vicino, è difficile esimersi da alcune brevi considerazioni.

Aldo Braibanti (1922 – 2014) è stato una «presenza» costante nella cultura italiana, del dopoguerra, eppure il suo lavoro è pressoché sconosciuto.

Nonostante la sua vocazione cosmopolita, la storia di Braibanti è una storia tutta italiana. Il suo percorso intellettuale si consuma sullo sfondo di una precoce ribellione al fascismo; la partecipazione alla Resistenza; l’adesione e successivo allontanamento al partito comunista; l’esplorazione a 360 gradi dei linguaggi poetici e scientifici, fino all’approdo all’ecologia – capitolo conclusivo di un percorso libertario – intesa come substrato fondamentale di ogni ricerca. Ma la sua vocazione profonda, il suo «mestiere di vivere» è la scrittura, concepita come laboratorio di pensiero.

Braibanti non ha mai voluto partecipare al circo dell’industria culturale, dei premi e della promozione personale. Non ha seguito trend e mode, piuttosto non ha mai smesso di produrre poesie, collage, spettacoli teatrali, radiodrammi, sceneggiature cinematografiche, prose d’arte e testi filosofici. Attraverso ironia e maieutica, ha cercato e trovato compagni di strada per ognuno dei suoi tanti progetti: unico requisito, la disponibilità totale all’avventura intellettuale.

Braibanti non è stato il primo o l’unico intellettuale italiano non allineato, scomodo e estraneo ai meccanismi del potere. Quello che sorprende è la sua simultanea presenza (tutti sanno di lui) e la non collocabilità culturale del suo lavoro.

Quarantasei anni fa Pier Paolo Pasolini, che non conosceva Braibanti personalmente, ma esclusivamente attraverso la sua opera, lo descriveva con parole che ci piace ricordare: «Se c’è un uomo ‘mite’ nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato mai a niente e a nessuno (…) Braibanti è un caso di intellettuale che ha rifiutato precocemente l’autorità che gli sarebbe provenuta dall’essere uno scrittore creato dall’industria culturale comunista; e ha poi rifiutato ,naturalmente l’autorità di uno scrittore creato dall’industria culturale […]La sua presenza nella letteratura è sempre stata intelligente, discreta, priva di vanità, incapace di invadenze».

Aldo Braibanti non è stato capito. Scopriamolo da oggi. Le sue opere, luminose, aspettano solo di essere lette. È venuto il momento.

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