In centocinquanta davanti alla sede del ministero per lo sviluppo economico con tute, caschetti, tende e bandiere. Gli operai Alcoa ieri sono arrivati nella capitale per seguire l’incontro tra il ministro Carlo Calenda, il presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru, i sindacati e i manager del colosso Usa dell’alluminio proprietario dello stabilimento di Portovesme, nel Sulcis (il sud ovest della Sardegna).

Era, quella di ieri, l’ultima chiamata utile per il gruppo svizzero Glencore, che per quasi un anno ha trattato con il governo l’acquisto della fabbrica che gli americani vogliono invece chiudere: trecento operai (più un altro centinaio nell’indotto) che corrono il rischio di perdere il lavoro. Il pacchetto offerto da Calenda a Glencore comprendeva una riduzione del costo dell’energia (25 euro per magawattora contro il 32 correnti) e l’impegno a ridurre le criticità infrastrutturali che da sempre penalizzano il Sulcis. Glencore, però, non ha accettato: ha fatto sapere ai partecipanti al summit romano che si sfila definitivamente dalla trattativa.

Ovviamente, la tensione al tavolo è salita alle stelle. Alcoa, infatti, solo poche settimane fa ha annunciato che di fronte al no definitivo degli svizzeri avrebbe chiuso la fabbrica di Portovesme a partire dalla fine di quest’anno. I dirigenti sindacali hanno fatto presente la drammaticità della situazione e Calenda ha deciso di chiedere ad Alcoa una sospensione della decisione di smantellare gli impianti in attesa di trovare un nuovo compratore al posto di Glencore. Allo stesso tempo il governo si è impegnato a garantire per i prossimi 12-18 mesi la cassa integrazione a tutti gli operai, con l’inserimento del Sulcis nell’elenco delle aree di crisi complesse.

In sostanza, dal vertice si ieri si esce con un rinvio di un anno, un anno e mezzo. Nel caso in cui «al termine di questo periodo – si legge in una nota che il Mise ha reso nota alla fine dell’incontro – non si manifestasse alcun interessamento concreto per lo stabilimento di Portovesme, Alcoa potrà cedere l’impianto a Invitalia (l’agenzia di attrazione degli investimenti del ministero ndr), che si occuperà della procedura di smantellamento, previo riconoscimento da parte di Alcoa delle somme necessarie ad adempiere a questa operazione». «In nessun caso, neanche per un periodo transitorio, Invitalia – spiega il Mise – potrà ammodernare, avviare o gestire l’impianto di Portovesme se non per le attività di smantellamento. Rimangono inoltre immutati gli obblighi di Alcoa relativamente alle bonifiche e al risanamento ambientale». Questa la proposta di Calenda.

E Alcoa? Il gruppo americano si è riservato di analizzare l’offerta che arriva dal governo, impegnandosi a rispondere nel più breve tempo possibile. Un nuovo incontro convocato dal governo è previsto entro la fine del mese.

Tra le reazioni sindacali, interlocutoria quella della Fiom. «In attesa della risposta di Alcoa alla proposta fatta dal ministro riteniamo positivo che il governo, imprimendo alla vertenza un cambio di passo, abbia deciso di farsi carico dell’individuazione di un nuovo acquirente»: così Rosario Rappa, segretario nazionale della Fiom. Che aggiunge: «Siamo al contempo consapevoli che non è stato ancora raggiunto alcun risultato e che la vera svolta si avrà soltanto quando e se Alcoa risponderà positivamente alla richiesta del governo».
Calenda si è anche impegnato a sentire di persona gli operai a Portovesme, in un incontro che è stato fissato nell’isola tra due settimane. «Avremo direttamente la possibilità di chiarire con lui e con la Regione – dicono i rappresentanti sindacali di Portovesme – anche la questione degli ammortizzatori sociali per tutti quelli che attualmente ne sono sprovvisti, fino al riavvio dell’impianto. Su questo vogliamo certezze assolute».

Tende smontate e bandiere arrotolate, quindi. E nella tarda serata ritorno in Sardegna.