Gli eroi del calcio nella memoria dei tifosi non muoiono mai. Le loro gesta diventano epiche, ma è difficile che restino nella memoria nazionale, quando i tifosi non sono della squadra di quei campioni, perché il tempo sbiadisce i ricordi. Oggi il calcio vorticoso e globalizzato degli affari non consente memorie lunghe, gli eroi durano poco, ma se una piccola squadra compie l’impresa titanica di vincere lo scudetto, quelle memorie diventano collettive. Dobbiamo a volte ai nostalgici del calcio poetico libri che rinverdiscono la memoria, come ha fatto il Collettivo Soriano (Massimiliano Castellani, Massimo Raffaeli, Darwin Pastorin, Cosimo Argentina, Lamberto Boranga, Sergio Taccone e Furio Zara), che ha pubblicato Ricky Albertosi romanzo popolare di un portiere, (Urbone, € 13,00).

Albertosi è stato il portiere del Milan e della Nazionale, difese i pali nella mitica partita Italia-Germania 4 a 3 ai mondiali di Messico ‘70, ma non tutti lo ricordano come il portiere del Cagliari che 50 anni fa, nella partita contro il Bari vinta 2-0 si aggiudicò nel mese di aprile matematicamente il suo primo e unico scudetto, spezzando la serie delle squadre dei padroni del nord industriale Juventus, Inter e Milan.

Il filosofo
Alla conquista dello scudetto contribuirono i gol di Gigi Riva, definito da Gianni Brera «Rombo di tuono», che successivamente rifiutò le allettanti offerte economiche degli Agnelli, dimostrando che si poteva essere il centravanti della Nazionale senza giocare in una delle squadre dell’asse Milano-Torino. Il Cagliari dello scudetto ebbe come allenatore Manlio Scopigno, l’unico che avesse conseguito un titolo di studio universitario tra gli allenatori, laureato in pedagogia, ma tutti lo chiamavano «il filosofo». Egli contraddiceva le regole ferree del calcio rigido, era un gran fumatore e bevitore di whisky, amico dello scrittore Luciano Bianciardi. L’anno dello scudetto Scopigno scontò cinque mesi di squalifica per frasi ingiuriose rivolte all’arbitro, seguiva le partite dalla tribuna e a chi gli chiedeva come si sentiva lontano dalla panchina rispondeva con ironia: «Dalla tribuna si vede meglio».

Bucatini all’amatriciana
Scopigno e Albertosi erano due irregolari, in un calcio ancora ingenuo e popolare degli anni del boom economico. Il portiere del Cagliari anni dopo dirà del suo allenatore – lui che altri grandi ne ebbe, da Nereo Rocco a Nils Liedholm: «Un filosofo come Manlio Scopigno mi aveva capito e scavato dentro l’anima. Mi considerava un Platone».

Albertosi giocò nel Cagliari fino al 1974, dal campionato successivo passò al Milan dove difese i pali della porta del decimo scudetto, ma a febbraio del 1980 fu costretto a mettersi da parte perché travolto insieme ad altre decine di giocatori dal calcioscommesse: finì in carcere. L’esperienza dietro le sbarre, pur costituendo a lungo una macchia indelebile della sua splendida carriera di numero uno, non gli ha fatto perdere lo humor: «Ho aperto un ristorante con la Betty (la moglie, ndr) a Milano, il Tatum, ma i migliori bucatini all’amatriciana della mia vita li ho mangiati a Regina Coeli, li aveva cucinati un mio compagno di cella».

Zoff contro Albertosi
Il Collettivo Soriano, attraverso un saggio romanzato, rende omaggio ad Albertosi, protagonista insieme a Gigi Riva del Cagliari dello scudetto. Era un portiere bravo e guascone, che dava spettacolo con le sue parate, contrapposto in quegli anni a Dino Zoff, che non gradì la presenza di Albertosi al mondiale del ‘78 in Argentina – sarebbe stato il suo quinto, un record mondiale – e così Bearzot lo lasciò a casa. L’eterna contrapposizione tra i due portieri, indicati con le iniziali, è tratteggiata da Massimo Raffaeli: «È come se EA amasse o mimasse il repertorio del Barocco, così prodigo di figure, così scintillante negli esiti prossimi al prodigio plastico e alla fantasmagoria, ed è come se DZ perseguisse l’ideale classico della misura, dell’equilibrio, della armonia. EA ambisce infatti al ruolo di riconosciuto protagonista, DZ a quello di regista dissimulato o, se possibile, occulto».

Il racconto-cronaca su Albertosi di Cosimo Argentina, scrittore di Taranto, narra le domeniche intorno alla tv quando il portiere dello scudetto passò al Milan. A parte il sostegno alla squadra tarantina, che grazie all’Italsider sponsor (grande industria e calcio vanno sempre a braccetto) aveva conquistato la serie A, in casa erano frequenti le discussioni sul dilemma: tifare per una grande squadra del nord o accontentarsi di un tifo obbligato per le squadre del sud dettato dall’appartenenza geografica? Il quesito ricorreva frequente nella cerchia della famiglia allargata ai vicini, tutti raccolti intorno alla tv, e lui bambino contemplava adorante la foto del portiere dello scudetto: «Ce ne stiamo di fronte alla foto di Albertosi e i miei cugini mi dicono che hanno organizzato una partita contro quelli di via Mascherpa e gli manca il portiere. Io non giocavo in porta, ma l’idea di provare a emulare Albertosi era stimolante».

Massimiliano Castellani, firma di «Avvenire», fantastica su Beppe Viola, altro irregolare del giornalismo sportivo, che scende dall’aldilà per far visita al suo amico Albertosi, all’ospedale di Pescia per un arresto cardiaco. I due erano accesi scommettitori all’ippodromo di San Siro: «Da lassù ho visto il petto bloccato di Ricky e sono sceso a dargli una scossa. Mi sono appostato a fianco al letto e gli ho strappato la migliore intervista che avessi mai fatto. L’ho ascoltato senza domandare». Le pagine del libro si inarcano fino all’angolo alto della porta, come le spettacolari parate di Albertosi, che in quel Cagliari dello scudetto del 1970, fonte di riscatto dell’intera Sardegna, collezionò il maggior numero di presenze insieme a Riva. Gli eroi di quella squadra con Martiradonna, Cera, Gori, Nenè, Niccolai e tanti altri, appartengono alla memoria collettiva dei tifosi, perché quello scudetto fu vinto da un’intera nazione.