«Si può dimostrare che, anche se potessimo abolire la guerra, il commercio estero indurrebbe a relazioni di dipendenza e di influenza. Definiamo questo l’effetto influenza del commercio estero» ( Albert O. Hirschman. “Potenza nazionale e commercio estero”. Il Mulino, 1987). Certo assai diffusa era l’apologia della divisione internazionale del lavoro e del commercio internazionale, ma (e cito Keynes, pag.339 di “Occupazione, interesse e moneta”) «erano mossi da buon senso e da una corretta intelligenza dell’andamento reale delle cose quegli uomini di stato i quali ritenevano che se un paese vecchio e ricco avesse trascurato la lotta per i mercati, la sua prosperità sarebbe andata discendendo fino a svanire».
Insomma, per riprendere Hirschmann, anche se non ci sono soldati e non si spara, la guerra continua sotto il nome virtuoso di concorrenza internazionale, che provoca fallimenti, disoccupazione e miseria nei paesi più deboli, anche se hanno prodotti di ottima qualità. Nella nostra Italia il caso Fiat ci dice qualcosa. E con l’euro è tutto più facile. Il commercio internazionale non si può abolire, ma con il capitalismo rimane guerra.