Richiesto di citare, a memoria, il nome di qualche sultano ottomano, un non specialista difficilmente andrebbe oltre i due più noti: Maometto «il Conquistatore» e Solimano «il Magnifico»: il primo espugnò Costantinopoli trasformando il sultanato in Impero, e il secondo ne estese al massimo i confini, giungendo, in Europa, ad assediare Vienna. Schiacciato tra queste due figure quasi leggendarie, fatica a emergere alla memoria Selim I, nipote del primo e padre del secondo, che regnò per soli otto anni (dal 1512 al 1520) ma diede un impulso decisivo alle ambizioni egemoniche dell’Impero, raddoppiandone la superficie e estendendone la sovranità su tutto il Mediterraneo orientale.

Il libro di Alan Mikhail L’ombra di Dio Selim il sultano, il suo Impero ottomano e la creazione del mondo moderno (traduzioni di Luca Fusari e Sara Prencipe, Einaudi, pp. 482, e 35,00) si propone di rimediare a questa amnesia. Al contrario di ciò che è avvenuto per il nonno e il figlio, i cui rispettivi epiteti – «il Conquistatore» e «il Magnifico» – si accompagnano ormai inscindibilmente ai loro nomi, per quanto riguarda Selim non si è mai affermata una resa univoca del termine turco Yavuz che lo accompagna.

Yavuz ha la connotazione di una risolutezza che non disdegna la crudeltà: nel mondo anglofono è invalso l’uso di tradurlo «the Grim», mentre in italiano si oscilla tra «il Crudele», «il Forte» e altri termini ancora. Forza, risolutezza e crudeltà sono le doti salienti nella biografia di questo grande personaggio. Basti pensare che alla nascita, terzogenito del sultano Bayazid, era il meno favorito nella lotta per la successione, e ciononostante con tenacia, determinazione e mancanza di scrupoli, non solo riuscì a mettere fuori gioco i fratelli, ma pervenne a spodestare il padre succedendogli quando ancora era in vita.

Il padre spodestato
La dettagliata narrazione di Mikhail permette al lettore di seguire le lunghe fasi di apprendistato» del giovane Selim, inviato a governare la periferica città di Trebisonda, sui confini orientali dell’Impero, minacciati da molti potenti vicini, tra cui soprattutto il neonato impero sciita dei Safavidi, prima grande potenza che egli sconfiggerà una volta divenuto sultano. Come osserva Alan Mikhail, «per la prima volta un Impero sunnita e uno sciita si contendevano l’egemonia regionale sul Medio Oriente». L’alternarsi di campagne militari, alleanze strategiche e occupazioni di governo resero Selim sempre più sicuro di sé fino a quando non si sentì in grado di sfidare tutti i suoi famigliari, padre compreso. L’usanza di sbarazzarsi di ogni concorrente massacrando o combattendo senza quartiere i fratelli era ben radicata nella storia dei sovrani ottomani, e proseguì con ferocia ancor maggiore nei suoi successori.

L’ambizione non si limitò alla conquista del potere ma si tradusse immediatamente in una politica di conquista che inflisse una sonante sconfitta ai vicini Safavidi, e soprattutto portò alla caduta della dinastia mamelucca in Egitto e all’acquisizione del Vicino Oriente, di parte del Nordafrica e della Penisola araba. L’impero, che fino ad allora comprendeva solo territori in cui l’Islam era minoritario (l’Anatolia e i Balcani), veniva ora a incorporare un gran numero di paesi a maggioranza musulmana.

Estendendo la sua sovranità sui luoghi santi dell’Islam, la Mecca, Medina e Gerusalemme, il Sultano ne divenne il «protettore» e volle fregiarsi anche del titolo religioso di «Califfo». Questo riconoscimento, che Selim pretese con una pubblica cerimonia di «passaggio delle consegne» da parte di Mutawakkil III, ultimo remoto titolare di una carica quasi dimenticata, evidenzia un altro aspetto della personalità di Selim, la cui violenza non era fine a sé stessa. Usò la forza per ampliare l’Impero, sì, e tuttavia si mostrò anche intenzionato a divenire, in virtù della potenza acquisita, il difensore dei popoli a lui sottomessi. L’immagine dell’«ombra» scelta per il titolo del libro, e più volte riproposta nel testo, riprende uno degli epiteti riservati al Sultano, ma non va interpretata come evocazione di oscure minacce incombenti: nelle culture del Vicino e Medio Oriente essa è, al contrario, evocatrice di una protezione benefica.

In turco, la parola saye usata nell’epiteto regale, vale sia ‘ombra’ sia ‘protezione’: lo dimostra una citazione dello stesso Selim riportata nel volume: «Colui che con il viso tocca sottomesso la polvere della mia soglia / sarà avvolto dall’ombra del mio favore e della mia giustizia».

Al di là della questione relativa alla legittimità del titolo, di fatto, a partire da questo momento il Sultano Ottomano avrebbe assunto il ruolo che era stato dei califfi arabi nei primi secoli dell’Islam, e come questi sarebbe stato a sua volta considerato, per diversi secoli, il rivale principale, se non unico, degli stati europei nella contesa per l’egemonia sul Mediterraneo.

In posizione chiave all’incrocio di tre continenti, l’Impero costituiva un passaggio obbligato sulla via delle spezie dell’Oriente, uno dei motivi non secondari per cui le potenze marinare che si affacciavano sull’Atlantico cominciarono a volgersi alle «Indie occidentali» e al sudest asiatico raggiunto attraverso il Capo di Buona Speranza.

Ombre moderne
Sono considerazioni geopolitiche ben note agli storici, ma leggendo l’opera di Mikhail si ha l’impressione che egli le consideri una novità assoluta, almeno per il pubblico cui si rivolge. Può darsi che il lettore medio americano sia ben poco al corrente delle vicende del Vecchio mondo, ma l’insistenza con cui l’autore sottolinea a più riprese l’aspetto innovativo del suo lavoro per il fatto stesso di segnalare quale ruolo la politica ottomana ha avuto nell’evoluzione della storia moderna dell’Occidente non sembra del tutto giustificato. Per esaltare questa visione «ottomanocentrica» della storia del mondo, ben cinque capitoli sono dedicati all’impresa di Colombo e alla conquista delle Americhe (avviata vent’anni prima dell’ascesa al trono di Selim), peraltro non senza qualche forzatura: per esempio, quando ogni richiamo alla «missione evangelizzatrice» che accompagnò e giustificò ideologicamente la colonizzazione viene considerato indice di una crociata specificamente anti-musulmana.
In realtà, le conquiste di Selim ebbero effetti solo per via molto indiretta sulla scoperta e lo sfruttamento delle Americhe. È vero invece che la sua storia fornisce altri agganci più chiari e diretti con la contemporaneità, e precisamente per quanto riguarda il dibattito tornato attuale negli ultimi anni sul ruolo del califfato. La rivista ufficiale dell’Isis si intitolava «Dabiq», nome della località in cui avvenne lo scontro vittorioso degli ottomani sui Mamelucchi, grazie al quale Selim poté insignirsi del titolo di Califfo.

L’intenzione da più parti attribuita a Erdogan di presentarsi come un nuovo «califfo», insieme alla constatazione degli omaggi da lui resi alla figura di Selim, così come il culto del suo mausoleo e dei simboli califfali che esso custodisce, e infine l’intitolazione ancora a Selim del terzo ponte sul Bosforo inaugurato nel 2013, ci fa capire quanto perduri nel mondo contemporaneo il riverbero di questo grande sultano, «Ombra di Dio».