Dopo settimane di annunci e rivelazioni su quelle che saranno le riforme economiche, sono arrivate le date durante le quali si svolgerà il Terzo Plenum del Diciottesimo Comitato Centrale del Partito Comunista: dal 9 al 12 novembre. Si tratta di un evento rilevante, perché si arriva all’incontro dopo quasi un anno di dominio di Xi Jinping e i suoi uomini; storicamente il Terzo Plenum è sempre stato decisivo nella storia della Cina dalla Rivoluzione del 1949 e quest’anno dovrebbe dare il via libera a riforme strutturali in grado di cambiare per sempre il paese.

Nel 1978 il terzo Plenum del Partito comunista cinese vide la consacrazione della vittoria di Deng Xiaoping e la sua svolta in relazione all’economia di mercato; nel terzo Plenum del 1984 con Hu Yaobang segretario generale del Partito si abbandonò l’idea di un’economia pianificata e venne inaugurata la stagione della «riforma economica urbana».

Nel terzo Plenum del 1993, Jiang Zemin inaugurò invece la stagione dell’«economia socialista di mercato», dopo lo storico viaggio di Deng nel sud del paese, mentre Hu Jintao nel terzo Plenum del 2003 inchiodò il Partito al concetto di «sviluppo scientifico».

Come ha sottolineato lo storico della scuola di Partito Xu Ping «i cicli politici di dieci anni del partito hanno reso la terza sessione plenaria di una nuova leadership, un momento cruciale. Ci sono buone ragioni per aspettarci che l’imminente plenum sarà un altro evento significativo nella storia del partito».

Si tratta dunque di una circostanza che di solito sancisce importanti decisioni di carattere economico, nonostante ci siano molti aspetti legati alle riforme che dipendono dagli equilibri politici che si sono sviluppati – non senza scontri – nel corso di questi ultimi anni.

Nei giorni scorsi il numero quattro della nomenklatura cinese, Yu Zhengsheng, aveva parlato di «cambiamenti senza precedenti»; poco dopo sono arrivate ulteriori indicazioni, attraverso il rapporto divulgato dal Centro di Ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato, che conterrebbe le riforme consigliate al Comitato Centrale. La stampa locale ha sottolineato come tra gli autori siano presenti Li Wei, ex segretario del premier riformista Zhu Rongji e Liu He, attuale consigliere economico del presidente Xi Jinping.

Secondo queste indicazioni, la Cina sembrerebbe prendere sempre di più la strada di un’economia di stampo liberista con riforme che dovrebbero ridurre il ruolo dello stato, cercare un equilibrio tra politica e mercato e sminuire il ruolo delle grandi aziende di stato, considerate il ricettacolo della corruzione e della scarsa propensione all’innovazione e al mercato globale. Si tratta di «indicazioni» che sono state elaborate dalle stesse persone che nel 2012 avevano rilasciato China 2030, un documento realizzato con gli esperti della Banca Mondiale, che richiedeva riforme in senso liberale all’economia cinese.

Ci sono quindi due questioni aperte al riguardo: intanto è da capire di che indicazioni si tratti, in secondo luogo c’è da chiedersi quanto risultano condivise dalla totalità del Partito Comunista, il cui scontro interno non sembra essersi concluso con l’ergastolo a Bo Xilai.

Secondo le linee guida elaborate dal Centro di Ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato (quanto di più simile la Cina ha ad un governo occidentale) ci sarebbero otto ambiti all’interno dei quali operare: questioni industriali, la gestione delle terre, della finanza, delle amministrazioni locali, dei beni statali, del fisco, dell’innovazione e tutto quanto riguarda il capitolo della green economy.
Una delle priorità è quella di diminuire il ruolo dello stato negli ambiti economici, cercando di arginare i controlli politici per chi opera sul mercato, consentendo ai privati di agire in un regime meno ostacolato dagli interessi della politica. Su questo si gioca la partita più importante, quella all’interno della quale si decideranno le sfide politiche più rilevanti. La spinta dei liberali al riguardo è di quelle senza precedenti: c’è una richiesta di smembrare e liberalizzare le aziende statali, provando anche ad appoggiarsi sulla clamorosa campagna anti corruzione lanciata dal Presidente in persona. In realtà però è proprio all’interno delle aziende statali che si nascondono gli interessi più rilevanti dei funzionari cinesi. Difficile dunque che una liberalizzazione possa realizzarsi senza colpi di scena e scontri interni.

Ci sono poi alcuni punti che per il momento rimangono criptici: il piano di welfare e di sicurezza sociale, che vorrebbe essere riequilibrato insieme ad un cambiamento del sistema dell’hukou (il permesso di residenza che lega i diritti sociali al luogo di provenienza).

C’è poi la riforma della sanità e delle pensioni ancora non completamente spiegate, lo yuan come valuta di scambio e la questione legata alla terra, che dovrebbe prevedere la possibilità per i contadini di essere compensati in modo migliore di quanto accada oggi, portando ad un equilibrio il costo delle terre rurali e quelle urbane.