Provarsi a chiudere la vita di Graham Greene in un libro, una biografia, non è stata impresa vincente. Anzi fu rovinosa per Norman Sherry (1989-2004) che in tre volumi ricalcò le orme di quell’insolito viaggiatore mettendo a repentaglio la propria vita, finché il biografato stesso affettuosamente lo dissuase dal pedinamento. Al rispettoso e reverente Sherry segui Michael Shelden (1994) che invece non nascose la sua ostilità all’uomo Greene. Lo sottopose a un fuoco di fila di infamanti accuse, straordinarie, troppe! Sesso anale, flagellazione, masochismo, bruciature, pedofilia, ragazzine, e possibili atti omosessuali.
Appena uscita è una nuova ponderosa biografia, recensita da Phil Baker sul «TLS» del 27 novembre, Russian Roulette. The life and times of Graham Greene (Little, Brown, pp. 592, £ 25), a opera di Richard Greene (nessuna parentela) che si fonda su nuovi documenti: lettere di familiari e collaboratori, interviste di amici e colleghi, oltre a saggi e memoir di Greene stesso, la pubblicazione della sua provocatoria attività di recensore filmico, di cui si ricorda l’affondo contro Shirley Temple (The Graham Greene Film Reader, Mornings in the Dark a cura di David Parkinson, Carcanet 1983). Il canone finalmente deciso dalla critica internazionale. Richard Greene da fiero artigiano si confronta con l’ eccentrico Graham, due della stessa tribù avrebbe detto Ben Jonson. Nell’introduzione G.G. è presentato in una circostanza da lui stesso raccontata. A quarantasette anni si trova in Vietnam, allo scoperto tra il fuoco incrociato della Legione Straniera e dei soldati vietnamiti. A Phat Diem ripara in una chiesa dove un prete se ne sta nella torre campanaria leggendo il breviario. Chiede di essere confessato, e come penitenza gli viene data un’avemaria, un padrenostro, e da leggere le avventure di Tintin. Richard si informa su questo prete anonimo, un certo Willich, terzomondista, sospetto spia, antiamericano …. vero, non inventato. Prova dell’onestà del biografo che si difende dalla incontenibile affabulazione del biografato. «Prima o poi devi scegliere da che parte stai. Se vuoi rimanere umano» aveva detto G.G., assicurandoci almeno delle sue buone intenzioni.
La mappa geo-politica di «Greenelandia» è ancora sotto i nostri occhi: attivissime le guerre, lo spionaggio, la povertà estrema a confronto con la nuova ricchezza estrema, le tante armi in vendita … Tutto già raccontato da Greene nel 1936 in Una pistola in vendita Un divertimento (a cura di Domenico Scarpa, con una nota di Giancarlo De Cataldo, traduzione di Adriana Bottini, Sellerio, pp. 312, € 15,00). In apertura una sequenza unica di sei pagine che trasformano il lettore in spettatore: l’assassinio del vecchio ministro socialista e della governante per mano di un giovane killer di nome Raven – con il corvo di Poe ha in comune un labbro leporino somigliante a un becco rossastro e il suo destino di dannato. Vive da solo in una squallida stanza visitata da una gattina bianca che viene a reclamare la sua panna (una presenza che Poe non avrebbe approvato). Raven è «una sagoma nervosa e piena di rancore», pronto a uccidere per un magro compenso, cinquanta sterline e duecento a fatto compiuto che non avrà mai. Non sa nulla del vecchio capo socialista a cui deve sparare, un ex ministro della guerra. Gli apre la porta la governante. Il vecchio lo accoglie gentilmente mentre sta cuocendo due uova. «‘Un uovo è pronto’ disse chinandosi sulla pentola». Raven gli spara alla schiena, il vecchio cade riverso sulla stufa. Più lunga e complicata l’uccisione, gratuita, della governante. «Chi l’avrebbe detto che una vecchia fosse così dura a morire? Lo faceva sentire nervoso … come se una presenza invisibile si intromettesse nel suo lavoro».
Siamo in pieno noir anche nell’ultimo atto, quando Raven, non più un killer in vendita, si vendica del suo mandante, un odioso potente vecchio, ebreo, trafficante d’armi. «‘Lei è pazzo’, sussurrò Sir Marcus. Era troppo vecchio per aver paura … Protese il vecchio labbro sul vassoio e succhiò rumorosamente dall’orlo del bicchiere il suo latte caldo». Raven alzò la pistola e gli sparò in petto. «Era l’unico modo per farlo tacere. Sir Marcus cadde riverso sul vassoio, rovesciando il bicchiere pieno di latte caldo che si sparse sui fogli sopra la scrivania. Dalla bocca gli uscì un fiotto di sangue». Vecchi preoccupati del loro cibo, ignari o spavaldi, incautamente tenendosi in vita come bersagli di morte. Lo sparo inatteso, la vendetta veloce, è giustizia drammatica, non solo sociale – nell’antico cassetto degli attrezzi il giovane romanziere ha trovato il giusto finale per Raven, il «tenero omicida» come lo avrebbe definito Browning, l’ingenuo assassino a sua volta vittima di un sistema disumano, gigantesco dispensatore di morte.
Tenera è la notte sullo scalo ferroviario abbandonato – luogo caro a G.G. anche nel romanzo precedente Il treno per Istanbul –, luogo magico dove i destini dei protagonisti si incrociano e cambiano direzione. Nella baracca dove Raven e Anne sono riparati è buio e freddo. Lui che voleva ucciderla, l’ha salvata. Lei che gli promette la salvezza, lo tradirà. Passano la notte in attesa dell’alba – la stessa notte di Cristo nell’orto. Entra uno spiffero gelido di vento da sotto la porta, i vapori del mare. Due poliziotti attendono fuori nella nebbia, addossati a un vagone, il momento opportuno per l’attacco. Anne racconta una favola. «‘Dormi ?’ domandò a bassa voce. ‘No’ rispose Raven ‘non dormo’. In quella improvvisa drammatica intimità, lui confessa i suoi delitti, lei offre il perdono. Forse questo sarebbe stato il finale che Greene avrebbe preferito se non ci fosse il tragico parallelismo tradizionale a esigere un finale di sangue. Greene confessò che qualche volta al cinema si commuoveva per una scena sentimentale, e questa la scrisse come se dovesse anche lui strapparsi dal cuore il giovane delinquente. «Raven disse: ‘È bello, sì, è così bello?’ E allungò la mano e sentì la mano di lei fredda come ghiaccio sopra le coperte di sacco. Se la premette per un secondo contro la guancia ispida; non voleva toccarla con il labbro deforme. Disse: ‘È così bello potersi fidare completamente di qualcuno’». Anni dopo, nel 1980, il vecchio amico Anthony Burgess sfidò lo scrittore: «E tu hai ancora l’aria di un giovane delinquente». Greene: «‘Un giovane delinquente, sì’».