L’idea di far cominciare la discussione dei «saggi» per le riforme costituzionali dal bicameralismo, l’unico argomento che non divide troppo i professori, forse non è stata geniale. Il ministro Quagliariello se n’è accorto ieri mattina nell’aula del senato, quando intervenuto per chiedere la procedura d’urgenza per la «sua» legge costituzionale si è trovato davanti una maggioranza nervosa. Ai senatori radunati per l’esordio parlamentare del disegno di legge governativo che deroga alle procedure dell’articolo 138 (pochi senatori, tanto che all’inizio è mancato il numero legale) non è piaciuto leggere sui giornali le mille proposte di ridimensionamento del senato che il comitato dei «saggi» aveva avanzato, nel corso della riunione di mercoledì, come rimedio al bicameralismo perfetto.

L’intervento più duro è stato quello del capogruppo del Pdl Schifani. «Persone fuori da quest’aula discutono cosa sarà il senato – ha detto – ma siamo noi gli eletti dagli italiani e siamo in grado di poterci autoriformare». Nella scelta di affondare il colpo ha pesato certamente il rancore dei berlusconiani verso Quagliariello, accusato di eccesso di zelo nel suo percorso di allontanamento dal cavaliere. È solo per questa rancore, infatti, che ultras berlusconiani come Bondi e Fitto si sono riscoperti cultori delle regole e da giorni si lamentano della fretta che l’esecutivo sta imponendo al parlamento.

Si discuteva ieri però della richiesta del governo di procedura d’urgenza, giudicata eccessiva praticamente da tutti i gruppi, con l’eccezione di Scelta civica e di un Pd al solito più realista del re. Urgenza significa dimezzamento dei tempi del dibattito, una forzatura che per le leggi costituzionali è esplicitamente vietata dal regolamento della camera. Al senato il divieto non c’è, ma solo perché l’interpretazione corretta della Costituzione porterebbe a prevederlo ugualmente – l’articolo 72 infatti detta che «la procedura normale di esame e di approvazione è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale», proprio i due argomenti di cui si occupa il ddl del governo. La capogruppo dei senatori di Sel De Petris ha fatto notare che l’urgenza si accompagna a un disegno di legge «intriso di deroghe» al procedimento normale di revisione costituzionale. Schifani ha aggiunto che il ddl costituisce un pericoloso precedente perché non si limita a dettare i tempi all’ormai famoso «comitato dei 40» che curerà la fase referente delle riforme, ma pretende di imporli anche alle aule (tre mesi per la prima lettura!). Calderoli ha accusato il governo di non conoscere la Costituzione che pretende di cambiare; alla fine però solo Sel e i 5 Stelle hanno votato contro.L’ipoteca posta dal governo – e da Napolitano che ancora ieri ha ripetuto che le riforme si possono fare solo se «non viene messa in discussione la continuità» dell’esecutivo – si è dimostrata più forte dei malumori.

Del resto siamo nella fase di avvio di un percorso che per quanto accelerato non sarà breve. E le deroghe e gli strappi dettati dal governo non sono solo sui tempi: il ddl toglie ai parlamentari la possibilità di avanzare questioni pregiudiziali nel corso del dibattito nel comitato, lascia ai tutti la possibilità di emendare il testo ma obbliga a farlo 5 giorni prima della discussione, mentre il governo può fare le sue modifiche in corsa, impedisce ai singoli parlamentari di sub-emendare le modifiche del governo, sostanzialmente applicando alla Costituzione le stesse limitazioni del dibattito che valgono per le leggi finanziarie. Quagliariello si è nascosto dietro le mozioni approvate – un po’ a cuor leggero – a fine maggio dalle camere: «Il governo ha risposto alla richiesta di tempi certi che veniva dal parlamento», ha detto. Ma i parlamentari di maggioranza ricordano bene che è stato proprio il governo, con i ministri Quagliariello e Franceschini, a dettare il tenore delle mozioni.

E così ieri la prima commissione del senato ha «incardinato» il testo, i tempi stretti prevedono tre sedute di dibattito la prossima settimana e poi i voti. Qualche modifica, anche solo per onor di firma, sarà obbligatoria. La relatrice Finocchiaro per il momento si preoccupa dei tempi del comitato piuttosto che di quelli delle aule. Alla fine se questa legge non sarà approvata con il voto dei 2/3 sarà possibile il referendum. Il Pdl è scontento, nel Pd i perplessi non sono pochi, ma per allontanare il quorum i senatori dissidenti dovrebbero essere una quarantina, o i deputati una sessantina.