Con una dichiarazione audio, il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri ha fatto atto di fedeltà al nuovo leader dei Talebani, Habaitullah Akundzada, eletto il 25 maggio 2016. Dietro la scelta di Zawahiri, ci sono strategiche, più che ideologiche o dottrinarie, come quelle che nel lontano 1999 hanno portato Bin Laden a riconoscere fedeltà a mullah Omar, leader dei Talebani. In primo luogo, l’attuale numero uno di al-Qaeda intende rimarcare una tradizione. La collaborazione tra al-Qaeda e i Talebani è di vecchia data. Il rapporto è stato segnato da alti e bassi. Ma nonostante tutte le frizioni e i contrasti, spesso accesi, il legame è rimasto, anche se negli ultimi anni i turbanti neri hanno cercato di smarcarsi dall’abbraccio di al-Qaeda. Al-Zawahiri sa bene che l’Afghanistan ha un valore simbolico particolare per i jihadisti di tutto il mondo. Rivendicare il legame con i Talebani significa ribadire che al-Qaeda è un’organizzazione dalle radici solide. Molto più dello Stato islamico, il gruppo che intende strappare ai qaedisti l’egemonia sul jihad globale.

Ed è proprio in chiave anti-Califfo che al-Zawahiri, che pure potrebbe vantare credenziali religiose e di leadership maggiori di quelle del nuovo leader dei Talebani, ha deciso di riconoscergli una superiorità morale e religiosa, chiamando Haibatullah Akundzada – come prima di lui mullah Omar e poi mullah Mansur – “guida dei fedeli”. Attorno a quel titolo, Amir al-Momineen, si gioca una partita importante. Con l’annuncio della nascita del Califfato, nell’estate 2014, Abu Bakr al-Baghdadi si è accreditato come Califfo. A lui vanno indirizzati gli atti di fedeltà e sottomissione dei musulmani nel mondo. A lui e nessun altro. Una pretesa sulla quale si sono accese dispute e che non è mai piaciuta ad al-Zawahiri. Il quale ha spesso fatto riferimento proprio al leader dei Talebani come la vera guida dei fedeli. Perché se la vera guida è il leader dei Talebani, il Califfo Baghdadi è un impostore.

Ci sono poi ragioni pratiche. Al-Zawahiri è sotto tiro degli americani. Deve nascondersi, se non vuole finire carbonizzato da un drone. La regione in cui si sente più sicuro, con cui ha più familiarità e dove dispone di un’ampia rete di sostegno, è quella che divide e unisce Afghanistan e Pakistan. Dichiarare fedeltà e rispetto per il nuovo leader dei Talebani equivale a una sorta di salvacondotto. E assicura anche la presenza di al-Qaeda in un’area su cui il Califfo punta l’attenzione da tempo, ma che non riesce ancora a penetrare come vorrebbe, nonostante l’annuncio della nascita dello Stato islamico nel Khorasan.

La dichiarazione di al-Zawahiri rientra inoltre nella tradizionale strategia del medico egiziano di tessere alleanze con i gruppi locali, di cercare sponde affidabili per radicarsi. Al contrario del Califfo, sempre pronto alla scomunica, al-Zawahiri porta avanti un’idea di jihad meno esclusivista, più pragmatica. Che gli ha permesso di resistere meglio alle operazioni di contro-terrorismo e di rilanciare il marchio di al-Qaeda, sottotraccia, proprio mentre il Califfo, troppo esposto, è costretto a subire i colpi dell’Occidente.

Certo è che il nuovo leader dei Talebani, Habaitullah Akundzada, non può vantare lo stesso appeal che aveva mullah Omar, leader storico dei turbanti neri. Mullah Omar godeva di una tale autorità che mai, nella propaganda ufficiale dello Stato islamico, il suo nome è stato tirato in ballo per attaccare il nemico al-Zawahiri. Al contrario, l’egiziano è stato subito attaccato quando ha deciso di ribadire fedeltà al successore di mullah Omar, Mansur: da allora, i propagandisti del Califfo non hanno perso occasione per deriderlo, sottolineando la sua irrilevanza e la diversità tra la sua leadership e quella di Bin Laden.

Il successore di mullah Omar, mullah Mansur, ha faticato molto prima di riuscire a imporsi sull’intera galassia dei Talebani. Quando ci era quasi riuscito è stato polverizzato (il 21 maggio scorso) da un drone americano nel Belucistan pachistano. Anche a lui, al-Zawahiri aveva tributato fedeltà, il 13 agosto 2015, poco dopo l’elezione che gli era costata contestazioni e accuse da parte di alcuni membri della leadership talebana. Ora è il turno di mullah Habaitullah Akundzada. Vedremo quanto resisterà al comando dei turbanti neri.