«Vi stiamo dicendo che siamo difensori del Profeta, pace e benedizioni su di lui, e che io sono stato mandato da al-Qaeda nello Yemen, chi mi ha finanziato è stato l’imam Al Awlaki». Al netto di ulteriori rivendicazioni, dando credito alla conversazione telefonica di venerdì mattina tra Cherif Kouachi e un giornalista di Bfmtv, la regia dell’attacco al Charlie Hebdo sarebbe riconducibile ad al-Qaeda nella penisola arabica (Aqap), branca ufficiale dell’organizzazione fondata da Osama bin Laden, attiva nello Yemen e Arabia Saudita.

Quello di Anwar Al Awlaki non è un nome qualsiasi: nato nel New Mexico nel 1971, cittadino americano ma di origine yemenita, una vita spesa tra Stati Uniti, Inghilterra e Yemen, «figura religiosa di riferimento per gli attentatori» delle Torri gemelle secondo il Rapporto ufficiale sull’11 settembre voluto dal presidente Bush e dal Congresso americano, Al Awlaki è stato profondamente influenzato dal pensiero del teorico egiziano Sayyid Qutb (1906-1966), padre dell’islamismo politico contemporaneo, e da quello del palestinese Abdullah Azzam (1941-1989), tra gli ispiratori di al-Qaeda, l’uomo che – scrive Lawrence Wright ne Le altissime torri. Come al Qaeda giunse all’11 settembre – ha avuto maggiore influenza nel coinvolgimento di Osama bin Laden nella causa afghana, e il cui slogan era «il jihad e il fucile e nient’altro: niente negoziati, niente conferenze, niente dialogo».

Al contrario di Abdullah Azzam, però, Al Awlaki ha attribuito molto importanza alle conferenze, tenendo lezioni dal vivo e sfruttando con estrema efficacia le potenzialità virali del web per disseminare le due idee.

Tornato nello Yemen nel 2004, arrestato nel 2006 su pressioni americane, rilasciato nel dicembre 2007, Al Awlaki avrebbe garantito la protezione della sua tribù, gli awlaki, ad al-Qaeda nello Yemen, uno dei gruppi da cui nel 2009 sarebbe poi nata al-Qaeda nella penisola arabica.

Sempre più esplicito nelle sue invocazioni al jihad e nelle sue condanne agli americani, Al Awlaki è l’autore, nel 2010, di una fatwa contro la disegnatrice di Seattle Molly Norris, organizzatrice il 20 maggio 2010 dell’«Everybody Draw Mohammed Day», evento per la libertà di espressione, e di disegno. Molly Norris ha dovuto rinunciare alla sua firma: su suggerimento dell’Fbi ha perfino cambiato nome, e ancora oggi continua a vivere nascosta.

Al Awlaki diffuse la fatwa contro di lei nel numero di giugno 2010 di Inspire, il magazine patinato di al-Qaeda nella penisola arabica che nel 2013 ha incluso anche Stéphane Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo ucciso mercoledì, tra i bersagli da colpire.

Per i disegnatori colpevoli di «caricature blasfeme», scriveva Al Awlaki nel 2010 rivolgendosi a Molly Norris e ad altri 8 autori satirici, «la medicina prescritta dal Messaggero di Allah è l’esecuzione». La stessa medicina prescritta dalle autorità americane a lui: Al Awlaki è stato ucciso il 30 settembre 2011 da un drone Predator nella provincia yemenita di al Jawf, dopo che il suo nome era finito nella lista dei «capture or killing» della Cia, approvata da Obama, nell’aprile 2010.

«La morte di Awlaki è un colpo fondamentale al più attivo affiliato operativo di al Qaeda – disse subito dopo l’omicidio il presidente degli Stati Uniti – ha pianificato e organizzato sforzi per uccidere americani innocenti… L’operazione è un’ulteriore prova che al Qaeda e i suoi affiliati non avranno alcun rifugio sicuro nel mondo».

Secondo funzionari dell’intelligence statunitense e yemenita citati dalla Reuters, nel 2011, poco prima di essere ucciso dagli americani, Al Awlaki avrebbe incontrato in Yemen almeno uno dei due fratelli responsabili dell’attacco al Charlie Hebdo, Said Kouachi, che potrebbe aver ricevuto addestramento in un campo militare di al-Qaeda nella penisola arabica.

Secondo la France Press, Said avrebbe viaggiato più di una volta nello Yemen tra il 2009 e il 2013, oltre ad aver studiato alla Iman University di Sanaa, fondata dal predicatore radicale Abdel Majid al Zindani.

È di venerdì pomeriggio invece l’audio-messaggio con cui uno dei leader “spirituali” di Aqap, Harith al Nadhari, rivendica l’attentato parigino. Il messaggio – si precisa su The Long War Journal – non è stato pubblicato attraverso uno dei canali ufficiali di Aqap, «ma appare legittimo», visto che riporta il logo dell’al Malahem Media Foundation, la branca mediatica di Aqap, e che a parlare è al Nadhari, pezzo da novanta del gruppo. Al Nadhari non rivendica esplicitamente l’attentato, ma loda «gli eroi muhajeddin», giustifica la strage accusando la «Francia di aggredire i credenti» e invita «il popolo francese a convertirsi».

Al messaggio di Nadhari si accompagna poi la dichiarazione inviata al sito di Glen Greenwald The Intercept, con cui Aqap rivendica esplicitamente la responsabilità per l’attacco di mercoledì.

Lo stesso messaggio è stato poi diffuso con i tweet da jihadisti strettamente legati ad Aqap, ma la conferma definitiva che dietro all’attacco di Parigi ci sia al-Qaeda nella penisola arabica ancora non c’è.

Tra l’altro, rimane la questione della dichiarazione resa da Amedy Coulibaly, il sequestratore di Porte de Vincennes, ad Alexis Delahousse, vicedirettore di Bfmtv, in cui dichiara di far parte non di al-Qaeda, ma dello Stato islamico, il gruppo del Califfo al-Bagdhadi, in rotta di collisione con al-Qaeda, perlomeno a livello di leadership.

Per l’analista Aymenn Jawad Al-Tamimi, «potrebbe trattarsi semplicemente di un tentativo per confondere i media con il peggior incubo degli occidentali: la presunta unione di Al Qaeda e Stato islamico nell’attacco all’Occidente».