La verde Ska Keller la migliore, il democristiano Jean-Claude Juncker il peggiore. Il primo, storico, dibattito in diretta televisiva fra candidati alla presidenza della Commissione Ue finisce con una chiara vincitrice – la giovane e brillante eurodeputata tedesca – e un chiaro sconfitto – il veterano ex premier del Lussemburgo. Buona la performance di Alexis Tsipras della Sinistra europea, al di sotto delle attese l’esperto socialdemocratico Martin Schulz e il liberale Guy Verhofstadt: troppo compassato il primo, eccessivamente esagitato il secondo.

Nell’aula dell’Europarlamento trasformata in studio televisivo è andato in scena un evento a suo modo epocale: mai prima d’ora una discussione politica aveva riguardato contemporaneamente tutti i cittadini dei 28 Paesi dell’Ue. Conduzione affidata all’italiana Monica Maggioni (direttrice di Rainews), format tipico di questo genere di dibattiti: domanda uguale per tutti e ciclo di risposte brevi, con tre jolly da giocarsi per eventuali repliche. Ormai ci siamo abituati, ma l’impressione è che gli interventi concessi ai candidati siano stati troppo brevi: 1 minuto a risposta e 30 secondi per possibili repliche appaiono francamente poco. Difficilmente si riesce ad articolare qualcosa che vada oltre uno slogan o un’allusione: e manca persino il tempo per polemizzare davvero.

Nonostante la rigidità del formato, sono comunque emerse le differenze. Il democristiano Juncker (Ppe, in Italia sono Forza Italia e il Nuovo centrodestra) ha difeso l’austerità contro la quale si sono invece scagliati, con pari veemenza, sia la verde Keller che Tsipras. Schulz e Verhofstadt hanno assunto posizioni intermedie: la disciplina di bilancio è necessaria, ma l’eccesso di rigore può fare danni. Punti di vista diversi sulla crisi ucraina, con Juncker e Tsipras agli antipodi: il primo a insistere sull’inasprimento delle sanzioni contro il presidente russo Vladimir Putin e il secondo a denunciare lo scandalo della presenza di neonazisti nel nuovo governo di Kiev. Unanimità fra i candidati in un solo caso: tutti pensano che il prossimo capo della Commissione debba essere uno di loro, e non qualcuno che venga «concepito» nelle segrete stanze del Consiglio dei capi di stato e governo (come sembrerebbe preferire invece la cancelliera tedesca Angela Merkel).

All’ecologista Keller va il merito di avere citato il negoziato sul Ttip, il trattato di libero scambio Ue-Usa che mette a repentaglio i diritti di lavoratori e consumatori, e le proteste contro di esso, comprese quelle di ieri a Bruxelles. Tsipras ha certamente colto nel segno nel citare, nel corso del dibattito, sia lo scandalo del tentativo di contro-riforma dell’aborto in Spagna sia, a proposito del tema corruzione, gli intrecci tra mafia e politica in Italia. Il momento migliore di Verhofstadt è stato nel passaggio sulla vicenda di Edward Snowden, che per il leader liberale dimostra la necessità di difendere meglio la privacy dei cittadini europei, mentre a Schulz è mancato un colpo ad effetto. Il socialdemocratico, che molti vedono come presidente in pectore, è apparso troppo compassato, quasi si sentisse in dovere di assumere una posa «istituzionale». Keller e Tsipras decisamente i più sciolti.

Il dibattito visto sugli schermi di Rainews 24 risultava certamente appesantito della traduzione simultanea, che, peraltro, non sempre è apparsa impeccabile. E tuttavia, non c’era alternativa: per rendere l’appuntamento fruibile a un pubblico vasto non poteva essere trasmesso in lingua originale (possibilità riservata a chi lo vedeva in streaming). Pur con molti limiti (compresi personalizzazione e spettacolarizzazione), il primo presidential debate della storia della Ue va considerato un passo nella direzione giusta: quella della creazione di un’opinione pubblica europea che riesca a contrastare il predominio dei governi nazionali nella determinazione del destino politico dell’Unione europea.