Cento associazioni che non ci stanno. Che chiedono pace e corridoi umanitari per fermare la strage. Piazza Montecitorio è troppo piccola per contenerle, così come l’amplificazione è troppo poco potente per permettere a tutti di ascoltare le parole di chi parla al microfono. Al presidio sotto la Camera dei deputati ci sono tanti migranti, tante banbiere e nessun esponente del Pd, se si esclude Titti Di Salvo – da poco arrivata fra i renziani – che si tiene alla larga dalla folta pattuglia di Sel.

Le associazioni volevano essere ricevute da Renzi. Niente da fare. È la presidente della Camera Laura Boldrini ad incontrare una delegazione. Alle cinque della sera le ombre dei palazzi si allungano sul presidio. In piazza si distrubuiscono pettorali con numeri progressivi a ricordare la conta infinita di morti: «Siamo gli ultimi 900 morti». Gli striscioni e i cartelli sono duri, rabbiosi. «Ma quale blocco navale?». Quello dei centri sociali romani recita: «Politici e scafisti, siete sulla stessa barca». Quello di Amnesty: «Oggi piangete, ieri dove eravate?, Sos Europe».

Il concetto di fondo che mette assieme tutti è semplice: «Bisogna difendere le vite, non le frontiere». Bubakar, 19enne dal Senegal sorregge un cartello con su scritto a mano: «Mo’ muoro, poi torno», ideato assieme a tutto il Laboratorio 53, associazione che dà sostegno legale e multidisciplinare ai migranti. La faccia è tirata, come se stesse ricordando qualcosa che ha vissuto. «Sono arrivato in Europa in Spagna nel 2012, poi da lì in Italia. Quando la Spagna ha chiuso le frontiere tanti miei amici sono arrivati dal canale di Sicilia, come quelli che sono morti domenica. Quando ho visto le immagini sono stato male perché poteva capitare anche a me».

Aiutata da Monica, Bubakar ha fatto richiesta di asilo. «Così facendo sa che rimarrà in Italia – spiega lei – . Servono 6 mesi perché sia convocata la commissione che giudica la domanda e quasi altrettanti per avere i documenti. Quelli che non vogliono stare in Italia arrivano a bruciarsi le dita pur di non farsi prendere le impronte: cercano di scappare prima e di arrivare al paese in cui hanno qualche amico».

Su una nave simile a quella ribaltatasi domenica qualche mese fa c’era Mohammed, 22enne dal Bangladesh dalla lunga barba nera. «Io sono arrivato così a Lampedusa 10 mesi fa e ora sono qui a ricordare quelle persone. La loro storia mi fa sentire male, l’Europa deve fare qualcosa per aiutare tutti noi che scappiamo dalle guerre e dalla miseria».
Al microfono si susseguono gli interventi. Per la Cisl c’è Liliana Ocmin, peruviana che cita il papa. Per la Cgil c’è Susanna Camusso. Che chiede alla politica «di mettersi dal punto di vista di chi è sulla spiaggia della Libia. Se lo farete, capirete che solo la comunità europea nel suo insieme può risolvere il problema e lo può fare solo con la bandiera della pace».