Se i voti degli ultimi due giorni all’Europarlamento sono un’anticipazione di quello che accadrà nel Parlamento italiano sul tema cruciale del Piano europeo anti crisi, l’immagine de formicaio impazzito non è esagerata. Arrivano divise sia la maggioranza che l’opposizione, oltretutto con voti a geometria variabile sul versante dell’opposizione (Lega e Fdi contrari e Fi favorevole sui Recovery Bond, Lega e Fi contrari e Fi favorevole ai corona bond).

Tra le tante divisioni emerse a Strasburgo in attesa di deflagrare a Roma la più clamorosa è quella interna alla maggioranza. Il Movimento 5 Stelle ha ribadito in ogni modo possibile il suo rifiuto totale della nuova linea di credito del Mes, a favore della quale resta più che mai schierato il Pd. Il reggente Vito Crimi ci ha tenuto a ribadirlo ieri: «Il mandato di Conte è chiaro. Servono l’emissione di debito condiviso e maggiori emissioni della Bce. Il Mes è tanto inadeguato che non c’è neanche bisogno di dire di no a questo strumento». Se lo scontro fosse solo di natura tecnica ricomporlo sarebbe più facile. Nonostante gli strepiti sui 36 miliardi ai quali l’Italia, secondo il Pd, non può rinunciare, in ballo ci sono in realtà solo gli interessi annui, certamente più vantaggiosi nella linea di credito del Mes ma non a livello tale da minare le basi di una maggioranza. Sono nell’ordine dei 4-500 milioni l’anno.

Ma il nodo è politico. Per il Pd i toni polemici con l’Europa sono già andati oltre ed è ora non solo di mitigarli ma di capovolgerli. Altrimenti verrebbe meno la sola ragion d’essere di questo governo, che è proprio la ricostruzione di un rapporto di piena fiducia dell’Europa nei confronti dell’Italia «populista e sovranista». Se il Consiglio europeo metterà nero su bianco quell’«assenza di condizionalità» che nella proposta dell’Eurogruppo è tutt’al più un auspicio, cioè se fisserà una restituzione a lungo termine e troverà una formula per escludere l’irrigidimento delle condizioni in futuro, il Pd martellerà il premier. Ma se anche dovesse andare in maniera opposta, insisterà per fingere che quelle garanzie ci siano. Proprio perché in discussione c’è l’intero orientamento politico del governo nei confronti della Ue e non solo un passaggio tecnico in realtà neppure fondamentale.

Sui Recovery Bond, invece, la maggioranza è compatta. L’europarlamentare a 5S Corrao ha spiegato in lungo e in largo che l’astensione e il voto contro il paragrafo 17 della Risoluzione approvata a Strasburgo non vanno intesi come pollice verso nei confronti di strumenti di condivisione del debito ma solo contro le «ambiguità», dal momento che «si parla solo di garanzia del bilancio Ue e non di mutualizzazione del debito». La spina è che, nella migliore delle ipotesi, Conte tornerà dalla riunione del Consiglio europeo del 23 aprile non con gli eurobond ma proprio con un Fondo garantito dal Bilancio europeo. Sarà difficile usarlo come contropartita per far ingoiare ai 5 Stelle il Mes.

Lega e Fi hanno spiegato il loro no agli eurobond, che ha portato giovedì alla bocciatura dell’emendamento dei Verdi che li proponeva, in maniera diversa. Per gli azzurri scende in campo direttamente Silvio Berlusconi: «I recovery, garantiti dal bilancio comunitario, avranno molto maggior efficacia degli eurobond, superati e irrealizzabili». La Lega, invece, giustifica il no dicendo che gli eurobond implicherebbero «la totale cessione di sovranità» e insiste perché la Bce diventi «prestatore di ultima istanza» potenziando l’acquisto dei Btp italiani.

Berlusconi, dopo aver «apprezzato le scuse della von der Leyen» si spinge sino ad ammonire il governo affinché «eviti contrapposizioni di bandiera in Europa». Conclusione: le condizioni per una spaccatura trasversale che metterà l’Italia, comunque, in condizione di massima debolezza ci sono tutte e il rischio che, quando si tratterà di decidere sul prestito Mes la maggioranza si ritrovi priva di collante è assolutamente concreto.

Peraltro lo scontro trasversale impatterà un parlamento già trasformato in campo di battaglia tra maggioranza e opposizione. I tre leader della destra hanno firmato un comunicato fiammeggiante per denunciare la decisione del governo di procedere subito alle nomine dei vertici di Eni, Enel, Poste, Leonardo e Terna: «L’opposizione si chiama fuori da questa scelta infelice che non è nello spirito di collaborazione responsabile invocato da Mattarella». All’appuntamento con la crisi economica la politica italiana si presenterà infatti armata fino ai denti e pronta a usare quelle armi.