Quel che sta accadendo in una parte dell’area di confine tra Bielorussia e Polonia é grave e inaccettabile. La scelta, folle, di Lukashenko, di favorire e organizzare un flusso di migranti verso l´Unione Europea, non è altro che il tentativo di giocare, utilizzando le persone come carne da macello, la propria partita.

La partita, assai sporca, portata avanti da un regime autoritario, periodicamente spalleggiato dalla Russia di Putin, che non può certamente essere riconosciuto come un interlocutore – cosa purtroppo in parte già accaduta – dalla comunità internazionale.
Il Parlamento Europeo ha fatto proprio bene, quindi, a ospitare, il 24 di novembre, l´intervento di Svetlana Tikhanovskaya, leader dell´opposizione democratica al regime di Lukashenko, e a ribadire, attraverso il Presidente Sassoli, ancora una volta, piena sintonia con le sue parole. Parole di democrazia, libertà, diritti.

Se vogliamo affrontare l´emergenza umanitaria materializzatasi al confine, dunque, dobbiamo partire da qui: considerare le pesantissime responsabilità di Lukashenko come un punto irrinunciabile per qualsiasi reazione.
E, però, dobbiamo anche sapere che questa riflessione non basta.

Le gravi colpe del regime bielorusso rappresentano una parte del complicato problema che abbiamo di fronte. L´altra riguarda la dimensione della vita vera, cioè quel che stanno realmente subendo donne, uomini, bambine, bambini. Persone, non numeri, rispetto alle quali serve un immediato intervento umanitario, e l´apertura di canali d´accesso legali verso la Ue.
Il contrario di quel che sta mettendo in campo la Polonia che, al pari dell´Ungheria di Orbàn, si presenta oggi come un laboratorio autoritario, in pratica un avamposto della paura, pervaso da un istinto alla regressione civile e culturale assolutamente incompatibile con i valori dei padri fondatori europei.

In questi giorni una nostra delegazione di europarlamentari del Pd – composta da Pietro Bartolo, Brando Benifei e il sottoscritto – sarà sul posto per osservare quel che sta accadendo, denunciare e contribuire a far crescere la consapevolezza, ad ogni livello, sul senso dell´urgenza che ci comunica la condizione di chi si trova ad essere respinto dagli idranti e fronteggiato dai cordoni delle forze di sicurezza.
Saremo lì convinti, ancora una volta, che sul piano delle politiche riguardanti l´immigrazione servano scelte molto diverse da quelle compiute fino ad ora.

Dico di più: io credo che su questa materia si debba avere il coraggio di cambiare tutto.
E lo debba fare l´Europa, lo debbano fare le sue istituzioni e i suoi Stati membri.
Cambiare tutto significa mettere mano ad una politica che sfugga dall´egemonia della destra. La destra, quella peggiore, ha infatti segnato in modo devastante il dibattito sull´immigrazione. Ciò è avvenuto anche a prescindere dai risultati elettorali dei singoli partiti sovranisti e ha finito con il condizionare in modo sciagurato gli orientamenti e le decisioni di chi di volta in volta si é trovato a far fronte alla questione migratoria.
Così si è arrivati alla paralisi. Quella che di fronte ai bambini ammassati ai bordi dell´Europa non riesce ad esprimere interventi immediati di sostegno, aiuto, solidarietà.

La cosa non è nuova e non nasce in questi giorni.
Dai campi di concentramento libici alle scelte ambigue operate in Bosnia, dagli accordi con la Turchia alla generalizzata alzata di spalle di fronte al Mediterraneo quel che accade dimostra innanzitutto l´assenza di coraggio.
Finché non si mette mano ad un piano – ben diverso da quello presentato in questi mesi dalla Commissione Europea – relativo a vie legali d´ingresso, canali d´accesso, progetti di inclusione la politica continuerà a produrre barriere, respingimenti e muri.
Scorciatoie pericolose sul piano umanitario che alimentano il traffico illegale di persone e calpestano la dignità delle donne e degli uomini. Quel che accade in Polonia (fortunatamente messo in discussione da tanti cittadini polacchi che hanno deciso di «aiutare» gli altri) dunque, è un´altra puntata di una «serie» a cui, stagione dopo stagione, ci si è abituati.

La storia si ripete più volte, lungo i confini.
E lo schema, l´approccio, sembra essere sempre quello di chi si illude che il mancato intervento o il filo spinato – più o meno materiale – possano essere un pezzo di una strategia.
Si chiama «esternalizzazione» e produce scorciatoie davvero pericolose laddove invece avremmo bisogno di immaginare l´accoglienza come una grande responsabilità da condividere nel nome della cooperazione tra gli Stati.

Quel che tenteremo di fare, attraverso il nostro piccolo gesto, è semplice. Cercheremo di ripetere ciò che andiamo dicendo nelle aule parlamentari: va provata e sperimentata un´altra strada. La strada illuminata dal faro del rispetto dei diritti umani. Strada praticabile se si ha il coraggio, dentro i confini europei, di combattere una grande battaglia culturale. E se, contestualmente, si è molto più radicali sulla questione sociale che riguarda «noi».

La paura verso le migrazioni, infatti, cresce laddove le diseguaglianze e la precarietà non diventano temi affrontati di petto. Rimettere al centro la giustizia sociale come grande valore di fondo è dunque il primo modo per sconfiggere proprio quell´egemonia a cui alludevo che ha incantato la società civile e politica nostrana.
E poi, non dimentichiamolo: affrontare con più radicalità la questione sociale esistente, il sentimento di insicurezza rispetto al proprio futuro che segna ancora tante cittadine europee e tanti cittadini europei è in sé ciò che deve motivare chi fa parte di un campo sociale e politico di stampo progressista.

* Europarlamentare del Pd