Straub che sulla Piazza Grande, davanti a migliaia di persone, sussurra al microfono, elegantissimo col suo trench da film noir, qualcosa di intellegibile da Heinrich Boll. L’ironia di Jean-Luc Godard nel sempre attuale anche se dell’86 Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma, molto di più dell’opposizione tra grande e piccolo schermo cinematografico/televisivo, una (contro) storia e una riflessione raffinata sul fare cinema: i film uccidono sussurra il regista Leaud, mentre nei casting del «nuovo» la rivolta è stata cancellata. E poi, cosa resta di Locarno 70, anniversario festeggiato col nuovo Palazzo del cinema e la sala del Grand Rex ristrutturata, spazi destinati a rimanere tutto l’anno? Il festival ticinese sembra affermare con sicurezza la volontà di porsi come l’appuntamento privilegiato per il cinema autoriale contemporaneo ( e soprattutto «di tendenza») raccogliendo intorno a sé quegli autori che ne sono espressione riconosciuta – forse però al posto del super hipster regista catalano Albert Serra a parlare di Straub-Huillet era meglio invitare qualcuno meno di tendenza ma con maggiore consapevolezza della loro opera.

Ha vinto Wang Bing con Mrs. Fang, e il palmarés della giuria guidata nel ruolo di presidente da Olivier Assayas segnala le discrepanze nella programmazione complessiva. Wang Bing è un grande regista, e questo film quasi «da camera» è diverso, almeno in apparenza da altri suoi lavori come Bitter Money con cui ha conquistato lo scorso anno il premio per la sceneggiatura alla Mostra di Venezia, ma è comunque un regista affermato all’interno di un concorso pieno di opere prime spesso incerte anche quando con forte potenzialità – As Boas Maneiras premio della giuria. Migliore attrice Isabelle Huppert nel bel film di Serge Bozon Madame Hyde, riflessione densa sulla trasmissione – insegnante-alunno e viceversa – anche questa però è una conferma visto che è una delle interpreti più stupefacenti che vi sono. Spesso veniva da chiedersi il perché di una collocazione, Milla di Valerie Massadian nei Cineasti del presente (premio speciale), uno dei più belli visti poteva essere nella competizione principale dove stonava invece il film italiano Gli Asteroidi troppo fragile per essere caricato di una tale responsabilità (pure dannosa).

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Il fatto è che le due competizioni non si distanziavano in modo chiaro, cosa determina la scelta dell’una e dell’altra è difficile capirlo- le relazioni, gli equilibri chissà. Mrs. Fang che molti appassionati del regista cinese hanno detestato o quantomeno criticato. È giusto visto che tocca l’infilmabile baziniano, la morte, non la vediamo ovviamente sullo schermo ma in qualche modo la presenza della protagonista vi rimanda costantemente. La donna malata di Alzheimer nella fase terminale non parla più né manifesta alcuna consapevolezza verso ciò che la circonda. Gli occhi aperti vagano senza posarsi su nulla, i familiari intorno sperano in un cenno di riconoscimento, se non un sorriso qualcosa che gli dica che lei è lì, e invece se il corpo è disteso sul letto la donna sembra altrove, nello spazio temporale insondabile della sua mente. Il regista aveva iniziato a filmarla un anno prima, quando la malattia non l’aveva ancora devastata, poi come ha raccontato aveva messo da parte questo progetto per concentrarsi su Bitter Money. Finché i parenti della signora Fang lo avevano contattato spiegandogli la situazione per chiedergli di continuare comunque a riprenderla.

Racconta Wang Bing: «La morte non è un avvenimento che si affronta volentieri, persino parlarne provoca disagio, vale nella cultura orientale come in quella occidentale. Però quando sono arrivato nel villaggio della signora Fang ho pensato che poteva raccontare qualcosa al di là della sua malattia, è un luogo che sta sparendo proprio come lei». Mrs.Fang non è dunque distante dalle storie che sono la materia di tutti i suoi film, anzi di quella narrazione della Cina negli ultimi decenni, e dei paradossi feroci messi in atto dalla sua economia è un nuovo capitolo. Nella stanza al capezzale della donna ci sono i familiari, parlano, fumano, entrano e escono, provano a decifrarne i movimenti, i sussulti. Con rudezza affrontano quanto dovranno fare, scegliere l’abito per il funerale, l’organizzazione delle cose. La stanza somiglia a un deposito pieno oggetti ammassati, la veglia alterna tv, cellulari, partite a carte, qualche litigio. Sul patio due uomini discutono perché uno dei ragazzi più giovani ha deciso di andarsene. Di notte qualcuno pesca sul lago utilizzando una rete elettrificata, il gasolio si rovescia sul pesce e gli cambia colore.

L’ambiente, l’inquinamento, l’abbandono, da lì sono tutti andati via verso le città più grandi, ci sono rimasti solo gli anziani che vivono spesso in povertà. La famiglia della signora Fang che pure non si allontana mai dal suo letto e che sembra a un certo punto dimenticare completamente la presenza del regista, esprime nelle sue parole l’aderenza ai ritmi del presente: non hanno più alcun rapporto con un posto risucchiato dai passaggi economici che lo hanno messo ai margini come si buttano le vecchie cose, nessuna cura, nessun legame. È un paesaggio emozionale che Wang Bing mette a fuoco aspro, implacabile, mostrato senza moralismi nella sua evidenza. I suoi protagonisti si somigliano da un film all’altro, frammenti sparpagliati in un divenire al quale non possono opporre resistenza.