Il presidente del Sudan Omar al-Bashir ha lasciato ieri il Sudafrica poche ore prima che la Corte Suprema di Pretoria si pronunciasse favorevolmente sulla richiesta di arresto avanzata nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale (Cpi). Contro di lui pendono due mandati di arresto internazionali emessi nel 2009 e nel 2010 dalla Corte dell’Aja per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio commessi durante il conflitto nella regione del Darfur.

Il caso coinvolge direttamente le autorità sudafricane e rischia di creare un incidente diplomatico con la Corte Penale Internazionale, del cui Statuto di Roma il Sudafrica è Paese firmatario. Stando a quanto riportato dai media locali, non sono mancate infatti le critiche da parte del presidente della Corte di Pretoria Dunstan Mlambonon secondo il quale il fatto che il governo non abbia adottato tutte le misure necessarie per assicurare che al-Bashir non lasciasse il Paese prima della tarda mattinata di lunedì come ordinato dal giudice Hans Fabrucius (cioè prima della decisione definitiva della North Gauteng High Court su un eventuale arresto) e per eseguire poi l’ordine di arresto a sessione ultimata, non è coerente con la Costituzione del Sudafrica e si configurerebbe come un oltraggio alla Corte.
Il presidente sudanese pare infatti che abbia lasciato l’aeroporto militare di Pretoria con un jet privato e senza incontrare alcuna resistenza da parte delle autorità locali.

Dopo un rincorrersi di rumors riportati sulla stampa locale e internazionale, a confermare la sua “dipartita” e l’arrivo previsto a Khartoum nella serata di ieri, sono stati poi l’avvocato di Stato sudafricano William Mokhari e il ministro sudanese Yasser Youssef. Ora il governo di Jacob Zuma su ordine della Corte dovrà entro sette giorni fornire adeguate spiegazioni alla magistratura.

Omar al-Bashir era arrivato a Johannesburg il 13 giugno scorso per partecipare al 25° vertice dell’Unione africana (Ua). Ci era arrivato dietro tutte le garanzie di una sorta di accordo implicito per cui i Paesi ospitanti si impegnano ad assicurare la sicurezza e l’immunità dei partecipanti in qualità di membri dell’Unione Africana, che più volte peraltro negli ultimi anni si è pronunciata contro la Corte dell’Aja.
La North Gauteng High Court si era riservata di pronunciarsi entro lunedì sulla richiesta di arresto della Cpi e aveva nel frattempo chiesto al governo di trattenere il presidente sudanese in attesa del verdetto. Contro la richiesta della Corte Penale Internazionale aveva tuonato il presidente Zuma, accusando l’Aja di volere imporre in modo selettivo la giustizia occidentale agendo essenzialmente contro i Paesi africani. E l’African National Congress (Anc), secondo cui la Cpi non è più utile ai fini per i quali è stata creata: «I Paesi, soprattutto in Africa e in Europa orientale continuano a sostenere in maniera ingiustificata il peso delle decisioni della Cpi, con il Sudan che ne è l’esempio più recente».