Il califfo Abu Bakr al-Baghdadi, indiscusso capo dello Stato Islamico, sarebbe stato gravemente ferito. Tra Iraq e Siria e nelle cancellerie mondiali corre la voce del ferimento – o addirittura della morte – del leader, colpito domenica da un raid Usa nella provincia sunnita irachena di Anbar. Il Pentagono, per ora, dice di non avere informazioni dirette.

A confermare il ferimento di al-Baghdadi, sulla cui testa pesa una taglia da 10 milioni di dollari, è stato ieri il ministro degli Interni di Baghdad: «Abu Bakr al-Baghdadi è stato trasferito in Siria dopo essere stato ferito in un raid che ha ucciso 40 islamisti. Il bombardamento ha avuto come target un meeting dei leader Isis vicino alla scuola di al-Kanadi a al-Sa’ada». Prima Khalid Obeidi, ministro della Difesa, aveva detto che al Baghdadi era stato invece ferito a Mosul in un’operazione dell’esercito iracheno.

Mentre i servizi segreti mondiali cercano conferme, a parlare sono gli analisti: lo Stato Islamico sopravvivrebbe alla scomparsa dalle scene di al-Baghdadi? Il califfo, con il sostegno diretto dei petroldollari del Golfo e quello indiretto ma fondamentale dello Stato turco, ha trasformato il braccio iracheno di Al Qaeda in una forza militare transnazionale, dalla complessa ed efficace strategia, a cui si aggiunge una macchina della propaganda che attira nei territori occupati di Siria e Iraq decine di migliaia di jihadisti da tutto il mondo, richiamati anche dalle casse piene del califfato.

In pochi mesi l’Isis non ha solo occupato fisicamente un terzo dell’Iraq e le zone settentrionali della Siria, ma ha anche fagocitato le milizie fedeli a Saddam Hussein e gruppi islamisti più piccoli, dal siriano Fronte al-Nusra al braccio egiziano di Ansar Beit al-Maqdis (che ha giurato fedeltà al califfato ufficialmente ieri, con un comunicato video) strappandoli al controllo di Al Qaeda, madre tradita dal nuovo leader.

Nelle comunità occupate, l’Isis ha dato vita ad una propria amministrazione locale, cercando di dare di sé un’immagine che vada al di là del mero gruppo militare: sono stati rivisti i curriculum scolastici, rilasciate carte d’identità e dettate nuove regole sociali, accompagnate ad un più brutale sistema giudiziario e di polizia.

«La potenziale morte di al-Baghdadi avrebbe un grande impatto sui suoi sostenitori – scrive in un editoriale su Al-Arabiya Theodore Karasik, professore di storia del Medio Oriente – Il califfo per mantenere la sua venerabilità religiosa deve restare integro: se muore, mette in discussione la legittimità della sua figura. Il discorso dell’Isis andrà rivisto per far emergere una nuova leadership: la storia insegna che le successioni nei califfati storici è stato sempre un evento caotico».

«È possibile che nell’immediato i suoi sostenitori cercheranno vendetta, ma c’è una ‘speranza’: che la vecchia al-Qaeda di al-Zawahiri ne approfitti per lanciare sia una nuova campagna di propaganda che operazioni sul campo. Ma è anche possibile che i generali dell’Isis prendano in mano la responsabilità di condurre i miliziani in battaglia e questo porterebbe a faide interne molto violente».

La voce del ferimento di al-Baghdadi giunge a pochi giorni dall’annuncio del presidente Obama dell’invio di altri 1.500 consiglieri militari in Iraq. Obama ha parlato di una nuova fase della lotta, che non solo freni l’avanzata ma la respinga. Dietro, però, la stessa strategia: solo raid aerei. Risponde indirettamente il presidente siriano Assad che ieri, in un incontro con l’inviato Onu de Mistura, ha aperto alla proposta di cessate il fuoco locali, a partire da Aleppo.