Una vegetazione dai toni psichedelici trasforma lo spazio scenico in una foresta aliena al nostro vivere affaccendato nella quotidianità sociale e urbana. Nel buio rilucono il giallo, il verde e il rosso e il viola di magnetiche liane, tettoie naturali da cui pendono foglie, arbusti, licheni. Nell’oscurità di fondo un essere lentamente prende forma. È Annamaria Ajmone, danzatrice, coreografa, artista associata di Triennale Milano, dove ha portato per Fog, il suo ultimo lavoro: La notte è il mio giorno preferito.

LO SPETTACOLO, che vanta una ricca coproduzione tra Triennale, Festival Torinodanza, Grande di Brescia, Lac Lugano, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia e altre istituzioni, è il risultato di una riflessione partita da una ricerca sugli animali e gli ecosistemi in cui vivono. Un lavoro che, sulla pratica raccontata dal filosofo francese Baptiste Morizot nel saggio Sulla pista animale (edizioni nottetempo), ripercorre le tracce lasciate dagli animali selvatici per assumerne lo sguardo e ripensare all’approccio civilizzato delle nostre relazioni. Morizot: «Bisogna sperare che un diplomatico andato a inforestarsi presso gli altri esseri viventi, ritorni trasformato, tranquillamente inselvatichito, lontano dalla ferocia fantasmatica attribuita agli Altri». Ne La notte è il mio giorno preferito Ajmone appare come un corpo in simbiosi con lo spazio. La sua danza è scossa dall’interno, tribale e ritmica, accesa nel tremito animalesco.

LA PARTITURA di Flora Yin-Wong, bellissima, la avvolge nei suoi gironi trasformisti e percussivi in cui respirano, danzando nella musica, quei suoni della natura potentemente evocati dal contesto scenico (ideazione dell’artista visiva Natália Trejbalová, light designer Giulia Pastore). In testa una criniera di capelli attorcigliati che diventa parte della danza anche quando è tolta dal capo (costume di Jules Goldsmith), Ajmone è figura ancestrale. Con la lingua dipinta di bianco incandescente, mette in primo piano l’ambiente, immersa in una trance che ha folgore centrifugo. L’apice dello spettacolo vive nella parte centrale del lavoro: l’inizio meriterebbe un’accelerazione nel rivelamento del corpo, il finale avrebbe più potenza con una chiusa più decisa, ma è indubbio, come confermato anche dal calore degli applausi, che Ajmone sia una danzatrice dalla qualità folgorante, un’acuta ricercatrice da cui aspettarsi sempre di più.