Le nostre case sono i nostri santuari. Lì dove torniamo dopo un giorno di lavoro per mangiare e riposare. È dove ci sentiamo al sicuro. Ma per molti, le nostre case sono luoghi che presentano rischi. Per i lavoratori domestici, ad esempio: le baby sitter, gli addetti alle pulizie e i «care-givers», quelli che fanno un lavoro che rende possibile tutti gli altri lavori. Le nostre case sono i loro posti di lavoro. Dietro le porte chiuse dei nostri vicini ci sono questi lavoratori invisibili, per la maggior parte immigrati che impiegano il loro tempo ad accudire i nostri bambini, a pulire le nostre cucine e ad accudire i nostri nonni e i cari con disabilità. Sono sottratti allo sguardo del mondo, esclusi da molte leggi sul lavoro che proteggono gli altri lavoratori, vulnerabili in un’economia sommersa.

NEGLI STATI UNITI l’esclusione dei lavoratori domestici dalle tutele fondamentali del lavoro, come il diritto a organizzarsi, la contrattazione collettiva e la libertà sindacale è un’eredità della schiavitù. Negli anni Trenta, i membri degli stati del Sud avrebbero rifiutato di sottoscrivere i principi delle politiche del lavoro se queste tutele fossero state riconosciute anche ai lavoratori domestici e a quelli agricoli. Per mantenerli calmi nel 1935 fu approvato il National Labor Relation Act che conteneva queste esplicite esclusioni. Io ho dovuto affrontare questo contesto storico e legale quando, vent’anni fa, ho iniziato a organizzare i lavoratori domestici a New York nell’ambito di un’iniziativa che mirava a riunire le donne asiatiche migranti che lavoravano con salari bassi. Su queste donne si scaricava una pressione economica estrema, la paura di essere deportate e separate dalle loro famiglie e comunità. Per loro la partecipazione a una manifestazione avrebbe potuto mettere a rischio il lavoro. Per evitarlo creammo posti sicuri dove queste donne avrebbero potuto incontrarsi, creare connessioni e un senso di comunità e appartenenza.

INCONTRO DOPO INCONTRO, in circoli grandi e piccoli, le lavoratrici hanno iniziato a organizzarsi, trovando forza e potere nella prossimità con gli altri. Nel 2007 siamo usciti dall’isolamento delle organizzazioni locali e ci siamo connessi a livello nazionale con altre città dove si erano organizzate esperienze simili. Abbiamo organizzato un’assemblea nazionale e fondato ufficialmente la National Domestic Workers Alliance (Ndwa). Oggi, dieci anni dopo, siamo un’alleanza composta da 64 organizzazioni in 36 città di 17 stati diversi.

IL PRIMO GRANDE RISULTATO lo abbiamo ottenuto nel 2010 quando il governatore dello Stato di New York ha trasformato il nostro statuto dei diritti per i lavoratori domestici in una legge. Da allora, altri sei stati hanno adottato una legislazione che riconosce le tutele contro la discriminazione, il diritto al riposo per un giorno, il tempo libero retribuito. Il ministero del lavoro ha modificato le norme e ha incluso due milioni di lavoratori prima esclusi dal salario minimo federale e dagli straordinari. Milioni di dollari di salari non pagati sono stati recuperati e migliaia di lavoratori si sono uniti alle nostre campagne, creando una nuova generazione di leader dei movimenti per il cambiamento sociale. All’inizio questi lavoratori si sentivano marginali rispetto al resto della forza lavoro. Oggi i loro problemi riguardano una quantità enorme di persone che soffre per la mancanza di tutele del lavoro e non hanno accesso alle reti della sicurezza sociale. Man mano che la forza lavoro diventa tutta precaria, part-time o auto-impiegata, la realtà del lavoro non tradizionale diventa la norma per tutti. In un’economia come quella degli Stati Uniti che sta diventando sempre più una «gig economy» (economia dei «lavoretti» e delle prestazioni contingentate via algoritmo, ndt.) è necessario guardare all’esperienza dei lavoratori domestici per capire come cavarcela.

I LAVORATORI DOMESTICI sono i «gig-workers» originali: noi abbiamo sperimentato le dinamiche di questa nuova economia, affrontato le sue sfide e soprattutto abbiamo trovato alcune soluzioni che permettono alla forza lavoro vulnerabile di sopravvivere. Noi dovremo assicurare che i lavoratori senza documenti siano inclusi nelle nostre strategie e dobbiamo affrontare le conseguenze della schiavitù e del colonialismo che plasmano oggi la forza lavoro. Per fortuna il nostro movimento si è sviluppato in questo modo, all’intersezione di molte esperienze che ci sfidano a creare modelli organizzativi dove a ciascuno è riconosciuta la propria dignità.

NEL XXI SECOLO tutti dovremo beneficiare di un nuovo statuto dei diritti per la forza lavoro. Oltre ai lavoratori domestici, esistono milioni di persone occupate in lavori non tradizionali a cui è negato l’accesso alle tutele. Dovremo capire come dare una voce a una forza lavoro frammentata attraverso organizzazioni sindacali sostenibili e scalabili. Le lotte dei lavoratori domestici, in maggioranza donne, sono il futuro del lavoro. Le loro soluzioni sono soluzioni per il futuro del lavoro.

Traduzione Roberto Ciccarelli (da Domestic workers speak: a global fight for rights and recognition, a cura di Giulia Garofalo Geymonat, Sabrina Marchetti, Penelope Krytsis e pubblicato sul sito di OpenDemocracy-Beyonf Trafficking and Slavery)