Un esercito di duemila piccoli animali e tre performer che tentano di gestire, riprendendo ogni dettaglio con una videocamera, un mondo caotico dove tutto è in movimento. Da un lato ci sono le guerre, le siccità, le coste inquinate, lo sfruttamento del lavoro, dall’altra i supermercati, le strade sicure, i servizi sanitari, il benessere. E in mezzo migliaia di uccelli migratori che in cielo tracciano le forme più bizzarre. Uuccelli insofferenti ai recinti, come l’uomo alle barriere. Si intitola Birdie il nuovo spettacolo della compagnia catalana Agrupación Señor Serrano vincitrice nel 2015 del Leone d’argento per il teatro (ideazione Àlex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal, interpreti Àlex Serrano, Pau Palacios, David Muñiz). In Italia vedremo il nuovo lavoro al Teatro Vascello di Roma il 28 e il 29 ottobre, all’interno del Romaeuropa festival (20 settembre – 2 dicembre). Intanto, ce lo facciamo raccontare da Pau Palacios.

Pau, la vostra compagnia sta per tornare in Italia con Birdie: come nasce questo spettacolo?

Tutti i nostri spettacoli nascono da un’immagine, in questo caso da una foto molto potente e interessante, quella di Josè Palazon, in cui si vedono in primo piano degli uomini che giocano a golf mentre alle loro spalle decine di migranti sono in bilico su un recinto tentando di scavalcarlo. Una foto che abbiamo subito collegato al film di Hitchcock Gli uccelli, quei migranti accovacciati lì su ci hanno fatto pensare a quegli uccelli…

Quindi l’Quindi Quindi lìQidea di accostare la famosa foto di Josè Palazon a Gli uccelli di Hitchcock è arrivata immediatamente? E per portarci dove? 

La foto, il gioco del golf e il film Gli uccelli: queste tre cose sono state messe subito in collegamento. Il problema è arrivato dopo: come trattare l’argomento dei migranti? Non volevamo farlo facendo pornografia dell’immagine. E dunque siamo ripartiti da quella foto per provare a mettere a fuoco il problema.

Qual è stata la difficoltà maggiore?

Decidere in che modo strutturare il tutto. La foto di Palazon è del 2014 e il boom dei rifugiati c’è stato nel 2015, quindi siamo stati superati dalla realtà. Da qui il problema… complicato, soprattutto emotivamente. Noi cerchiamo di essere distaccati quando affrontiamo certi argomenti, più sono potenti più ci chiediamo come trovare i punti di distanza per poter poi andare in profondità.

E alla fine come ci siete riusciti? Nei vostri spettacoli, e anche in questo caso, avete sempre puntato sulle nuove tecnologie, che si intrecciano con una drammaturgia creata dall’incrocio di tanti linguaggi: in che modo lavorare per arrivare all’esito finale dello spettacolo?

Negli ultimi 4 spettacoli abbiamo seguito lo stesso percorso, che dura ogni volta circa due anni. Un processo creativo lungo e composto da diverse fasi: per i primi otto mesi leggiamo e facciamo ricerche, poi elaboriamo una piccola drammaturgia di 20 minuti circa. Per dieci giorni proviamo in residenza video e performance e poi facciamo una prima dimostrazione aperta al pubblico, per noi utilissima perché dopo quella prova aperta rivediamo il testo che di solito diventa di 35-40 minuti, poi andiamo ancora in residenza, poi di nuovo una dimostrazione aperta al pubblico e per altri due-tre mesi riscriviamo il testo. A volte facciamo un’altra residenza ancora. Insomma in questo modo arriviamo al debutto abbastanza sicuri. E nei primi sei mesi di repliche in genere lo spettacolo cambia ancora. Per esempio Birdie, che ha debuttato a Barcellona a luglio dello scorso anno, è diverso rispetto allo spettacolo che vedrete a Roma.

Nello spettacolo, dicevamo, si parla di migranti, un grande dramma dei nostri giorni. In che modo l’artista può fare la sua parte?

Quello che posso dire è che ciò che stanno facendo i nostri politici non va, loro sono responsabili di tutto ciò che sta accadendo e devono trovare una soluzione al problema. Noi artisti possiamo solo metterlo a fuoco e per una volta dare voce ai deboli.

Una curiosità, da dove provengono tutti quei piccoli animali che animano la scena di Birdie?

In scena ci sono duemila animali… sono tanti, sì. Noi siamo sempre alla ricerca di oggetti o di pupazzetti per i nostri spettacoli. In questo caso il regista aveva visto questi animali in un Museo di Stoccolma, ma erano troppo cari. Così abbiamo rintracciato il produttore di Miami (Safari Ltd), ci siamo presentati, abbiamo spiegato a cosa ci sarebbero serviti e l’azienda ci ha spedito i pezzi di cui avevamo bisogno, diventando nostro sponsor.

Dai vostri spettacoli sembra che chiediate al pubblico se è davvero capace di leggere le immagini…

Sì, è proprio così. In Birdie proiettiamo la foto di Palazon e invitiamo il pubblico a guardarla bene, per un quarto d’ora. In genere dedichiamo un secondo e mezzo a fissare un’immagine. Noi invece qui la analizziamo. Siamo circondati da immagini, eppure le guardiamo sempre in maniera superficiale. Ma le immagini sono costruite, non sono innocenti. Anche nel linguaggio audiovisivo ci interessa mostrare che il racconto cinematografico è una costruzione, non è la realtà. Ci interessa svelare il trucco che c’è dietro.

Vale anche per l’informazione (altro argomento che affrontate spesso nei vostri lavori)? 

Sì, cerchiamo di mettere in guardia il pubblico: attenzione, tutto è frutto di una costruzione.

State già lavorando a nuovi progetti?

Sì, stiamo lavorando ad un nuovo spettacolo, Kingdom, che debutterà il primo luglio del 2018. E’ una critica al capitalismo e anche al patriarcato. Mettiamo in relazione King Kong con il capitalismo. In Italia arriverà nell’autunno del 2018.

E dopo il Romaeuropa festival avete altre tappe previste in Italia? 

Sì certo, saremo a Potenza il 2 novembre con Birdie e poi a Bergamo il 20 ottobre con lo spettacolo A house in Asia.

In Spagna è complicato come per l’Italia lavorare in teatro?

Molto più complicato. Da una parte in Spagna non c’è una tradizione teatrale forte, non c’è un modello. Dall’altra il teatro è sempre considerato come qualcosa da spazzare via. Dopo la crisi del 2008 il governo ha fatto fuori tutti i festival di cultura contemporanea. Dalle 25 date annue che avevamo, ne sono rimaste solo tre. Nell’ultimo anno la situazione è leggermente migliorata ma le partecipazioni ai festival sono ancora numericamente al di sotto del periodo precedente il 2008. Quest’anno, per esempio, abbiamo avuto molte più date in Italia. In Spagna se non fai certi spettacoli più classici è difficile lavorare. Per fortuna giriamo molto in Europa e non solo. Siamo stati anche a Shanghai, in Brasile, a New York. E le nostre residenze sono quasi sempre in Italia, Francia, Belgio, Olanda. Dove possiamo noi andiamo.