Gli Australian Open hanno emesso un verdetto importante: Naomi Osaka, dopo la vittoria in finale con Petra Kvitova 7-6 5-7 6-4, è con merito la nuova numero uno del mondo. La ventunenne giapponese con questo successo interrompe una striscia, iniziata proprio a Melbourne nel 2017 da Serena Williams, di otto differenti campionesse di Slam. Osaka è inoltre la prima ad aggiudicarsene due di seguito (US Open e appunto Australian Open), neanche a farlo apposta dopo Serena Williams che nel 2015 conquistò tre titoli consecutivamente, fallendo l’attacco al Grande Slam nella memorabile semifinale newyorkese con Roberta Vinci.

All’inizio del torneo, pur nell’equilibrio totale, non sarebbe stato un azzardo puntare almeno un paio di euro sulla tennista giapponese ma residente in Florida. Oltre alla qualità dei suoi colpi, tra tutti il servizio che la pone al riparo da brutte soprese nei momenti delicati (precedenti illustri, rivolgersi sempre a Serena Williams), Osaka possiede forza fisica, resistenza e una mobilità che la distingue da giocatrici potenti ma poco disposte a repentini spostamenti laterali e in avanti.

Naomi Osaka

La nuova numero uno del mondo, nonostante qualche distrazione, sia nei turni precedenti sia nella finale, è sempre stata capace di uscire fuori dai guai dando l’impressione di tenere la situazione costantemente sotto controllo. Il punteggio della finale rende merito alla Kvitova, alla vincitrice di due Wimbledon che dopo l’aggressione subita e le gravi ferite riportate, non pensava di tornare a così grandi livelli. Tuttavia, la favola per la tennista ceca non poteva avere una conclusione felice. Osaka, anche dopo aver perso inopinatamente il secondo set e aver versato qualche lacrima più per la rabbia di non aver chiuso che per la paura di uscire sconfitta, è rientrata in campo mostrando una superiorità preoccupante per le sue avversarie. Vero è che parole del genere sono state già spese in un recente passato per Garbine Muguruza e, in un futuro molto vicino, potrebbero essere usate per la diciassettenne statunitense Amanda Anisimova, una delle rivelazioni del torneo, qui eliminata da Kvitova, ma capace di mettere in mostra un tennis a tratti esaltante.

Se Osaka e Kvitova si affrontavano per la prima volta, Novak Djokovic e Rafael Nadal hanno dato vita alla cinquantatreesima edizione della loro sfida. In molti si aspettavano questa finale, soprattutto dopo la caduta di Roger Federer. Imbarazzante la differenza tra i due finalisti e tutti gli altri. Nessuno, però, poteva pronosticare il punteggio con il quale Djokovic ha letteralmente annichilito Nadal: 6-3 6-2 6-3.

D’altro canto, dalla finale di Indian Wells 2011, le vittorie del serbo sono state ventuno contro le nove dello spagnolo, sette delle quali ottenute sull’amata terra rossa. Insomma, sul cemento il confronto è impari da un bel po’ di anni. Djokovic ieri è riuscito nuovamente a tagliare il campo, cioè ad avanzare approfittando del gioco poco profondo dell’avversario costretto, a sua volta, ad arretrare sempre di più, in balia di un rovescio lungolinea al quale non sembra esserci antidoto e, in generale, di tutti i colpi del serbo che ha ritrovato geometrie e stabilità come non accadeva da un paio di anni.

Difficile stabilire con certezza se le difficoltà e una cattiva giornata di Nadal abbiano amplificato i meriti di Djokovic, o se l’onnipotenza di quest’ultimo abbia stordito lo sfidante che, a detta di alcuni esperti, si presentava alla finale con i favori del pronostico.

E qui veniamo a un elemento che vale come tutte le considerazioni che si fanno a posteriori. Djokovic qualche difficoltà l’ha incontrata ai sedicesimi con Denis Shapovalov, più per una distrazione del serbo che per i colpi del giovane canadese, e agli ottavi con Daniil Medvedev, il più bravo dei next gen insieme a Frances Tiafoe e Stefanos Tsitsipas. Nadal, invece, non ha incontrato alcun ostacolo. Davanti a lui, di volta in volta si sono presentati giocatori di bassa classifica, avversari che sembravano disegnati apposta per esaltare le virtù dello spagnolo, tennisti talentuosi ma svuotati di ogni energia. I passi falsi del primo, il cammino spedito del secondo hanno spostato i favori dei pronostici verso il mancino di Manacor. In realtà, anziché aiutarlo, il tabellone troppo morbido lo ha fatto arrivare alla finale inconsapevole dei propri limiti. E dopo un paio di game si è capito che non ci sarebbe stato più niente da fare.

Mettendo da parte l’esito della finale, siamo all’ennesimo titolo vinto da uno dei tre grandi. Con Andy Murray sull’orlo del ritiro, Stan Wawrinka e Juan Martín del Potro alle prese con infortuni e recuperi molto complessi, tutte le speranze di sovvertire questo dominio sono nelle mani dei più giovani, non ancora in quelle di Lorenzo Musetti, la nuova promessa del tennis italiano, vincitore a Melbourne del torneo juniores.