Il prossimo 5 ottobre la saga dei film dedicati alle imprese di James Bond compirà 60 anni. Il primo, storico episodio – Agente 007 Licenza di uccidere (Dr. No) – usciva, infatti in Gran Bretagna in quel giorno, nel 1962, in Italia arriverà nel gennaio 1963. Con James Bond e con quel primo film cambia di segno l’idea di agente segreto. Fino agli anni cinquanta la spia, l’«altro», era, infatti, percepito, ad esempio negli Usa, come un Rosso dall’aspetto inquietante, dall’alito pesante e dal sudore copioso. Era il soggetto ben descritto in Mano pericolosa (Pickup on South Street), il film del 1953 di Samuel Fuller, pronto a scardinare regole e valori del modello americano. A partire dai primi anni sessanta il volto della spia era decisamente mutato, non solo quello dei nostri ma anche quello dei loro.
L’agente segreto beneficiava di modi e mode della cultura popolare del tempo di cui egli stesso, spesso, contribuiva a dettare le regole. Non solo: la spia (occidentale) sembrava esercitare il proprio mestiere più per amore dell’eros e dell’avventura anziché per un vetusto senso del dovere nei confronti del proprio Paese. I nuovi agenti segreti – immortalati in film e telefilm – conoscevano l’arte dell’ironia, del bel vivere, agivano spesso in situazioni di pericolo così esagerato che finivano per sminuire le effettive tensioni geopolitiche della Guerra fredda. Non sorprende che improvvisamente la Spy Music si fosse trasformata nella Cocktail Music del futuro, frequentata da scapoli in cerca di esperienze vicarie «agitate» vissute immedesimandosi negli eroi dello schermo o dei romanzi del tempo.

COME DA COPIONE
Come da copione esotico si trattava di musiche che ridisegnavano il paesaggio politico della Guerra fredda fabbricando per i «nostri» suoni frenetici ma pur sempre rassicuranti; spesso energiche sventagliate di organo elettrico a cui facevano da contrappunto famigliari incursioni nel mondo languido della cocktail music. Al contrario per loro, gli «altri», il solito comunista/orientale, uomo o donna, infido e subdolo persistevano i classici stereotipi sonori che fino a quel momento erano serviti per evocare mondi e ambienti distanti, situazioni di terrore o minacce incombenti.
La nuova mania cinematografica e sonora spy fu avviata proprio da Agente 007 Licenza di uccidere (Dr. No), con James Bond interpretato da Sean Connery, attore che a lungo presterà il volto all’agente segreto britannico. Subito gli scapoli (e i mariti) di mezzo mondo si sentirono parte di un gigantesco intrigo internazionale. Potevano trasformarsi in spie e amanti, probabili e improbabili sabotatori della quotidianità. Ma James Bond, spia al servizio di Sua Maestà Britannica, era unico. Non solo era dotato di tutte le qualità e le possibilità tecnologiche offerte al tempo dal mestiere ma riusciva anche a manomettere i codici più rigidi della Guerra fredda. Ad esempio pretendeva un cocktail Martini «scorretto», ovverosia agitato non mescolato, consegnando il drink e l’espressione inglese «shaken not stirred» alla storia degli anni sessanta.
Bond incantava gli spettatori perché le sue scelte erano sempre di «classe», mai snob. Preferiva, ad esempio, solo Moskovskaya, la vodka russa di grano, rifuggendo dalla Wyborowa, la vodka polacca ottenuta dalle patate. Nel romanzo Casino Royale avrebbe addirittura escogitato una nuova versione del Vodka Martini, pretendendo tre parti di gin Gordon’s e una di vodka; al posto del vermouth dry aveva, invece, preferito il Lillet, un vino biondo alle erbe, tipico della Borgogna, simile al vermouth. Il tutto agitato con ghiaccio e servito con una scorza di limone. Con l’aggiunta di vodka, Bond stava «sabotando» il tradizionale gin tipico del cocktail Martini dando vita al Vesper, un drink in onore di Vesper Lynd, avvenente agente segreto come del resto tutte le attrici dei «Bond film».

IN GIAMAICA
James Bond era nato dalla penna di Ian Fleming, un ex funzionario dei servizi segreti della marina britannica, che dal 1952 al 1964, anno della sua morte, aveva dedicato alla spia dodici romanzi e due raccolte di racconti brevi. Li aveva scritti in Giamaica, uno spazio di frontiera sufficientemente separato dal pericolo sovietico ma anche strategicamente vicino a un’altra isola, Cuba, così esplosiva e così «rossa». Proprio in Giamaica era ambientato Agente 007 Licenza di uccidere, un film che si apriva con Kingston Calypso (Three Blind Mice), un «calypso deterritorializzato», e che di lì a poco avrebbe scatenato la «Bond mania». Con la pellicola faceva il suo debutto anche il James Bond Theme, al tempo l’ultima frontiera della Spy Music, ancora oggi insuperato e insuperabile. Un brano che si apriva con un accordo in minore sesta, «girando» in minore con la settima aumentata.
Era frenetico, nevrotico, un suono con cui dal 1962 ogni compositore di pellicole d’azione, cinematografiche e televisive, si sarebbe dovuto confrontare. Diventerà anche il tema di apertura dei «Bond film», contrassegnando per sempre le imprese del personaggio.

Monty Norman, in grande; a destra, in alto, John Barry e sotto il chitarrista Vic Flick

 

La genesi del brano è molto complessa e per stabilirne la paternità si è dovuto procedere negli anni per vie legali. Un venerdì sera del 1962 John Barry, giovane artista britannico, aveva ricevuto una telefonata di Noel Rogers, direttore artistico dell’etichetta United Artists, che gli aveva chiesto di lavorare a un tema musicale per un film di spionaggio di prossima uscita. Barry racconterà che erano già passati sei mesi dal coinvolgimento iniziale del compositore originario, Monty Norman, e che il progetto si era arenato.
Il compenso pattuito con Barry era di 250 sterline, da dividere a metà con il compositore Don Black, e la promessa che se ci fossero stati altri film dedicati all’agente segreto, l’artista sarebbe stato coinvolto nella composizione delle musiche.

IL CONTRATTO
Per ragioni contrattuali il tema sarebbe stato accreditato a Norman, autore del resto delle musiche. Senza aver visto la pellicola Barry aveva deciso di rielaborare Bee’s Knees, uno strumentale che aveva composto con il suo gruppo The John Barry Seven nel 1958, su cui appunto ricalcherà, con un travolgente arrangiamento jazz, il James Bond Theme.
Anche altri brani strumentali dell’artista, da Hit and Miss a Beat Girl e Poor Me rimandavano, comunque, agli ingredienti sonori che si ritroveranno nel tema. Indimenticabile anche la caratteristica frase di chitarra di Vic Flick.
Dal canto suo Monty Norman ha sempre ribadito la paternità del tema ricordando che l’idea era scaturita da Bad Sign, Good Sign, una sua composizione pensata per l’adattamento teatrale – un musical mai realizzato – di Una casa per il signor Biswas, il romanzo di V. S. Naipaul. Ma tant’è, l’artista dovrà difendersi in tribunale per ben tre volte e alla fine, nel 2001, la Corte suprema del Regno Unito gli riconoscerà la paternità.
È probabile che Monty Norman avesse consegnato il tema originale e che l’arrangiamento non fosse stato apprezzato dai produttori del film. A quel punto sarebbe intervenuto John Barry riarrangiando alla sua maniera, e in chiave jazz, il brano. Nelle sue interviste Norman ha comunque spesso ricordato che l’orchestrazione originaria di John Barry resta «la migliore e quella definitiva».

*un estratto da «Mondo Exotica-Suoni, visioni e manie della Rivoluzione Lounge» (Marsilio, pp. 635, 2021)