«C’ è qualcosa di potenzialmente tossico nel mix tra uomini afroamericani, donne bianche, potere e celebrità, che continuiamo a rivivere – che si parli di famosi personaggi dello spettacolo o di atleti. Crediamo nei rapporti romantici tra bianchi e neri, eppure, sotto sotto, rimane un che di sospetto… È un sospetto che deriva da secoli di uomini afroamericani falsamente accusati di stuprare delle donne bianche». Così , sul «New York Times», citando O.J. Simpson, l’ultima stagione del reality Bachelorette e il film Get Out, il giornalista afroamericano Wesley Morris, rifletteva sul risultato del processo a Bill Cosby, annullato sabato scorso, dopo che la giuria non era riuscita a raggiungere un verdetto.

 
Cosby era accusato di aver drogato e poi stuprato, nella sua villa a Philadelphia, nel 2004, la giocatrice di basket canadese Andrea Constand, conosciuta un paio di anni prima quando lei allenava la squadra della Temple University.
Cosby e i suoi avvocati hanno sostenuto che il rapporto tra i due era stato consenziente. Constand è una delle circa quaranta donne che hanno raccontato di essere state assaltate in circostanze simili dalla popolarissima star – il che rende il risultato del processo per certi versi sorprendente. Come nel caso di Constand, si tratta di accuse relative a fatti successi parecchi anni fa. Il che probabilmente ha pesato sull’impasse dei giurati, costretti comunque a deliberare solo sui fatti relativi a questo caso specifico.

 
Un’altra ragione, sostiene Morris, è legata al problema più complesso della razza: «Se raggiungere il successo in questo paese è doppiamente difficile per i neri. È anche doppiamente difficile, per i neri, disconoscere uno di loro. Una colpa, o presunta colpa individuale, viene valutata in base a secoli di biasimo nazionale e ingiustizia razziale, e contro il disservizio del sistema giudiziario e delle forze dell’ordine nei confronti della popolazione afroamericana».

 
Con Cosby presente ma che non ha voluto testimoniare, il profilo mediatico relativamente basso, quasi mesto, imbarazzato, del processo – svoltosi parallelamente, e in contrasto, con l’infuocata soap trumpiana del giorno – è stato prova di quanto, in modo non troppo diverso da quello dei giurati, anche l’opinione pubblica continui ad affrontare con riluttanza questa storia, emersa con le prime accuse circa tre anni fa. Da allora, l’immagine di Cosby, autore di televisione innovativa, geniale, occasionalmente persino femminista è entrata in un moto di erosione lenta ma inarrestabile che il verdetto del processo non farà niente per invertire. Legalmente cieco, i suoi 79 anni molto mal portati, dentro e fuori dall’aula, Cosby era l’ombra triste della sua stardom.
Il pubblico ministero ha anticipato un secondo processo. La moglie di Cosby e i suoi avvocati hanno parlato di vittoria di della verità e di eredità (culturale) restaurata Ma, per ora, l’idea che la giustizia, in un modo o nell’altro, non abbia fatto «il suo corso» renda l’amarezza generale ancora più profonda.

 
Accolto con una certa sorpresa e parecchie dichiarazioni di condanna, è di giovedì l’annuncio che Cosby starebbe organizzando un giro nazionale di Townhall meeting dedicati ad educare giovani atleti e uomini sposati a come evitare accuse di stupro. Un gesto di arroganza pazzesco, manipolazione in vista del prossimo appuntamento davanti al giudice, o un modo di confrontarsi con il proprio senso di colpa?
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