Mentre tutti gli occhi dei media sono puntati sui risultati del Consiglio europeo, e sul saldo di dare/avere che sarà indice della tenuta dell’Unione (confidiamo su un robusto ridimensionamento dei peana europeisti), sarà bene tener d’occhio uno dei potenziali centri della crisi sanitaria mondiale, da cui giungono notizie sempre più inquietanti: l’Africa.

Un articolo della BBC riporta ad esempio la preoccupazione per la crescita di casi nel continente, che rispetto al totale mondiale sono passati dal 2,8% al 5%. In poco più di un mese. Passando da 100mila casi del 22 maggio a 500mila all’8 luglio.

Tale regione, di cui si parla poco, resta nel suo stato di povertà proverbiale : in tutti i continenti del mondo la povertà assoluta diminuisce in senso relativo e assoluto, meno che nell’Africa sub-sahariana : le persone che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno calano dal 42,5% al 41,1% sulla popolazione ma – caso unico – crescono di numero: da 405 a 413 milioni fra 2013-2015. Nell’ultimo decennio si registrano due dinamiche significative : da un lato la crescente sottoalimentazione va di pari passo con un aumento dell’import alimentare, con una media di +13% annuo fra 1995-2014. Dall’altro il crollo dei prezzi delle materie prime all’inizio del decennio ha accelerato la stagnazione di tali economie così incentrate sull’export di minerali, prodotti agricoli, petrolio, e simili. Una crisi che il covid amplifica : secondo le più recenti previsioni, il Pil del continente crollerà da un – 1,6% (FMI) a un – 2,1%/-5,1% (secondo BM: il FMI sta rivedendo le previsioni in senso peggiorativo).

In questo contesto si è avuta fortunatamente una ondata epidemica assai più lieve di quanto non potessero far temere l’assetto rovinoso dei settori degli Stati del continente. Scorrendo la lista dei paesi in ordine tanto di % del PIL in sanità che di spesa pro capite in dollari, quegli africani scivolano verso il fondo – gli undici che spendono di meno sono tutti di tale continente : Repubblica Centroafricana, R. D. Congo, Madagascar, Burundi, Etiopia, Guinea, Niger, Mozambico, Sud Sudan, Benin, Eritrea.

Un aggravamento catastrofico dell’epidemia covid avrebbe effetti di rapida saturazione dei sistemi sanitari locali e la probabile implosione sul continente; la fragilità dell’equilibrio esistente è evidente dall’abisso che passa dalla spesa pro capite dei paesi che sono in cima alla lista con 9.000-5.000 dollari annui, agli ultimi che debbono cavarsela con 25 o 17 dollari (sic!) . Pro capite, annui. (I conteggi per Stati particolarmente evanescenti sono controversi, per esempio degli studi assegnano il primato della spesa minore alla Somalia con 33 dollari ; ma ciò non cambia l’ordine di grandezza dello squilibrio esistente).

Uno studio di Daniel Munevar indica che in 46 paesi (i più poveri) il pagamento degli interessi incide assi più pesantemente del bilancio relativo alla salute : il 7,8% del Pil contro l’1,8%. Tale situazione è così intollerabile che dall’avvio della crisi covid-19 si sono susseguite le proposte di annullamento e sospensione, in primis quella del presidente Macron. La Francia è uno dei membri più influenti del Club di Parigi, una associazione informale di paesi creditori che ha condotto 434 negoziazioni per la ristrutturazione di debiti sovrani nelle decadi della sua esistenza, spesso imponendo agli infelici debitori uno « sconto » di grandezza variabile della somma debitoria ma esigendo vari tipi di contropartita : pagamento della parte restante, privatizzazioni, investimenti al posto della parte « condonata » ; senza misure di sospensione unilaterale il rischio che la munificenza dei creditori celi una « polpetta avvelenata » è quasi certezza.

L’emergenza sanitaria ha convinto moltissimi cittadini a rinunciare a libertà e redditi (si pensi ai lavoratori precari), sia pur provvisoriamente, per tutelare un bene maggiore. Non si può chiedere loro di accettarlo se non si ha il coraggio di imporre ai creditori pubblici e privati una decurtazione dei loro profitti in nome della salute di popolazioni intere.