La diligenza è arrivata a destinazione, come sempre, a poche ore dal Natale. Ieri la Camera ha confermato la fiducia con 340 voti a favore e 155 no al decreto legge «Salva Roma», così chiamato perché al Senato introduceva l’aumento dell’Irpef del Comune di Roma dallo 0,9% all’1,2% per chiudere il bilancio 2013 gravato da un’esposizione debitoria da 864 milioni di euro.

In quel contesto era stato introdotto nel «decreto sulle misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali» (questo il «vero» nome del provvedimento) l’emendamento firmato dagli esponenti montiani di Scelta Civica (Ichino e Lanzillotta) che stabiliva la privatizzazione dell’acqua pubblica (l’Acea) e il via libera ai licenziamenti, in seguito riformulato e neutralizzato anche grazie alla protesta dei movimenti per l’acqua pubblica, per l’abitare e i sindacati di base (ieri erano in presidio a Montecitorio) contro quello che anche la senatrice Monica Cirinnà del Pd ha definito «un ricatto» contro la giunta di centro-sinistra guidata da Ignazio Marino da parte «di una persona [Lanzillotta, ndr.] che ha ricoperto l’incarico di assessore al bilancio a Roma».Una parte del Pd e Sel sono riusciti ad opporsi efficacemente. Tutto bene? Non proprio. Perché nel caos degli emendamenti, presentati cancellati o riproposti, ieri sera erano in molti a dare per certo l’aumento dell’Irpef. Il governo potrebbe infatti presentare un nuovo decreto oppure attendere il piano di rientro dal maxi-debito promesso da Marino e poi valutare se aumentare l’Irpef. La Capitale ha sessanta giorni di tempo per presentare il piano, probabilmente a marzo 2014.

Una vicenda complessa, ed esemplare per quanto riguarda i rapporti tra governo centrale ed enti locali al tempo dell’austerità, sulla quale si è innestata la controversia sulla «porcata»che tagliava i trasferimenti ai comuni che limitano le concessioni alle sale per slot-machine. L’emendamento è stato soppresso. E non bisogna dimenticare il giallo sugli «affitti d’oro» della Camera, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle che ha presentato un emendamento per permettere allo Stato, come agli enti locali, di recedere dai contratti di affitto in trenta giorni per risparmiare risorse (solo la Camera spende 22 milioni di euro all’anno per il canone degli edifici che ospitano gli uffici dei deputati). L’emendamento è stato neutralizzato da un altro del Pd. Poi, a seguito, delle proteste in aula dei 5 Stelle è stato ripristinato. E infine si è scoperto che era tutta una commedia. Perché, sempre a quanto risultava ieri, l’emendamento è stato di nuovo neutralizzato, lasciando alla Camera la disponibilità di versare gli affitti. Il «giallo» sui costi della politica – e la lotta di chi li vuole tagliare e chi sembra di no – continuerà a tempestare il Natale, per poi ritornare a fine anno con la virulenza di sempre. Si resta in attesa di un intervento da parte del governo, previsto il 27 dicembre con il «Milleproroghe», che metta ordine nei cieli della spending review sui parlamentari e il «Palazzo».

I Cinque Stelle, che hanno incassato l’appoggio del segretario Pd Renzi, minacciano di tornare sulle barricate e fare ostruzionismo a oltranza. La Camera dovrà accettare «di avere uffici più piccoli» ha detto il sindaco fiorentino. Il testo tornerà all’esame del Senato sabato 28 dalle 11, per essere convertito in legge entro il 30 dicembre, è diventato nel frattempo una nebulosa di micro-misure. Si va dal rinvio degli adempimenti tributari per i territori sardi colpiti dall’alluvione, al pagamento del 3% in più rispetto al canone concessorio su chioschi e bungalow sulle spiagge. C’è un fondo per risarcire le aziende che costruiscono la Tav in Valsusa che hanno subìto danneggiamenti e la tassa per visitare i vulcani.

Ieri il Senato ha votato la fiducia sulla legge di stabilità: su 277 votanti, 167 sì, 110 no. Tra le misure c’è il nuovo sistema di tassazione sulla prima casa (la Iuc che sostituisce l’Imu), il taglio dell’Irpef sul lavoro, un contributo di solidarietà dalle «pensioni d’oro» superiori ai 90 mila euro, la salvaguardia di 17 mila esodati, 22 milioni di euro per i nuovi nati, 147 per le forze di polizia, una sanatoria per l’uso dei beni demaniali marittimi, semplificazioni per la costruzione di nuovi stadi. Per le cartelle Equitalia proroga fino al 28 febbraio. C’è la «web tax», mentre il fondo per il taglio del cuneo fiscale su imprese e lavoratori parte svuotato. Le risorse che verranno dalla spending review e dai proventi della lotta all’evasione fiascale verranno condivisi da un lato tra grandi imprese, professionisti e microimprese. Dall’altro lato, tra lavoratori e pensionati. L’importo sarà minimo e ha provocato le reazioni negative da parte di Confindustria e dei sindacati.

La manovra 2014 «vale» 14,7 miliardi di euro.